La recensione di Fabrizio Casazza
Una riflessione sulla vita nel libro dell’arcivescovo maggiore di Kiev-Halyc, Sviatoslav Shevchuk
Sviatoslav Shevchuk, 50 anni, è arcivescovo maggiore di Kiev-Halyc: in pratica è il capo della Chiesa greco-cattolica che dall’Ucraina si è ramificata in tutto il mondo. Dialogando con don Paolo Asolan, preside del Pontificio Istituto Pastorale “Redemptor hominis” e incaricato del Servizio per la formazione permanente del clero della diocesi di Roma, riflette sul senso della vita in “Dimmi la verità” (Cantagalli, pp 248, euro 18). Battezzato clandestinamente in casa, cresciuto nell’ambiente ateo sovietico, studente all’Università Salesiana di Buenos Aires prima e poi alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino a Roma, ove conseguì il dottorato in teologia morale, ordinato presbitero nel 1994, rettore del seminario, eletto nel 2009 vescovo per gli emigrati ucraini in Argentina, ove conobbe il cardinale Bergoglio, all’epoca presidente della Conferenza episcopale nazionale, nel 2011 fu scelto dal suo sinodo come arcivescovo maggiore. Con uno sguardo che spazia su tutti i temi pastorali, il libro rileva che per la tradizione dell’Europa orientale un ruolo davvero speciale occupa la liturgia, che «non è una semplice cerimonia da fare o la cornice esterna, quasi l’estetica di una dottrina razionale. La liturgia è il mistero che si sta rivelando e che ci plasma a immagine e somiglianza di Cristo» (p. 46). La liturgia non si può vivere che nella comunità. Per questo la «tentazione della Chiesa senza Cristo, o della vita cristiana senza la preghiera, è la stessa tentazione di sempre cioè quella di voler diventare déi senza Dio, di una divinizzazione che consiste in una proiezione di sé all’infinito, non certo nel diventare Altro» (p. 84). Se comunitaria è la dimensione della preghiera che struttura la vita dei credenti, la «santità dei santi non è la perfezione privata di ognuno di loro: non sono gli eroi dell’antichità, ma una concretizzazione storica, un’incarnazione, della santità di Dio. Non è qualcosa che essi hanno costruito con le loro mani, è qualcosa che Dio ha fatto in loro e grazie a loro. Nel mondo orientale vediamo i santi come recipienti della Grazia di Dio. Perciò c’è un grande culto delle reliquie e delle icone: l’icona fa presente la persona e le reliquie sono come dei contenitori della santità» (p. 96) La santità di Dio partecipata ai fedeli grazie ai sacri misteri si riverbera nelle relazioni interpersonali in un vissuto di comunione, il primo gradino della quale «deve essere il rispetto della persona umana» (p. 145).
Non mancano nel volume agganci all’attualità sia politica che religiosa. Nel primo caso inevitabile il riferimento agli eventi bellici che dal 2014 segnano il Paese, con l’annessione russa della Crimea; nel secondo si commentano le vicende relative al mondo ortodosso, che in Ucraina è profondamente dilaniato, il che impedisce un sereno rapporto tra greco-cattolici e ortodossi. Al momento della pubblicazione del libro i contrasti non avevano ancora raggiunto il loro apice, segnato dalla dolorosa frattura tra i patriarcati di Mosca e Costantinopoli, allorché quest’ultimo concesse a Kiev l’autocefalia (cioè l’indipendenza dalla Russia) con l’elezione di un nuovo metropolita. Insomma, le parole dell’arcivescovo maggiore Shevchuk aprono orizzonti non troppo conosciuti a noi italiani ma importanti per capire meglio il mondo delle Chiese orientali, le quali, pur essendo pienamente cattoliche, conservano un peculiare patrimonio spirituale, liturgico ed ecclesiologico (i vescovi sono riuniti in sinodo con potere deliberativo), evidenziando la natura sinfonica e non monolitica della Chiesa.