Sabato 4 luglio il sacerdote è tornato alla Casa del Padre
Eccellenza, lei che esperienza ha fatto con don Gianni Merlano?
«Io l’ho conosciuto quando era parroco del duomo di Valenza. Nel 2015, in occasione del Giubileo della Misericordia, ho capito che la sua statura spirituale sarebbe stata più utile come confessore e penitenziere in Cattedrale, che non nel servizio di parroco. E in effetti fu così. La presenza di don Gianni è stata una “primavera” per tutti. La sua saggezza, il suo amore per la Chiesa e la sua disponibilità nelle lunghe ore in confessionale hanno portato beneficio a tutti coloro che si sono rivolti a lui trovando ascolto, comprensione e perdono in nome di Dio».
Qual è la caratteristica che lei non si aspettava in don Gianni, e che l’ha sorpresa di più?
«L’adattabilità, frutto di una profonda interiorità. Si è adattato al nuovo ministero in un battibaleno, mettendo a frutto subito la sua reale competenza. Al termine del lockdown, appena ha potuto è tornato a servire la cattedrale, con la sua mascherina e con il suo impegno genuino (leggi anche l’omelia del Vescovo nelle esequie di martedì)».
Per un sacerdote che formazione è quella del confessionale?
«La direzione spirituale è una scuola di vita straordinaria: quando un sacerdote passa le ore, i giorni a confessare e a fare direzione spirituale, allora conosce veramente l’uomo! E don Gianni era di questa tempra».
C’era in lui una mitezza di cuore evidente. Come si fa a mantenere questa mitezza, in un mondo così convulso?
«Si può mantenere quando si ha la saggezza di capire che la mitezza non è una debolezza e senza di essa non si ottengono risulta migliori».
Detta così, sembra un po’ una rinuncia a combattere…
«No, non è una rinuncia. “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Dobbiamo imparare che Gesù Cristo ha vinto morendo… quindi la mitezza in realtà è la virtù attraverso la quale otteniamo la vittoria, perseverando a tutti i costi».
Molti adesso si chiedono chi lo sostituirà.
«Me lo chiedo anch’io (sorride). Tutte le volte che viene meno un confratello, con i suoi doni già individuati e messi a frutto, si apre la caccia del “cercatore di carisma”, che poi è il ruolo del Vescovo. Bisogna riuscire a leggere, nella vita dei sacerdoti, le loro attitudini, anche non ancora espresse e, in base alla molteplicità dei doni che ciascuno possiede, capire come comporre il “puzzle” del servizio ai nostri fedeli nel modo più proficuo per tutti».
Qualche nome?
«Ci ho già pensato, ma è ancora prematuro…».
Quanto è trascurato, a suo avviso, il sacramento della Penitenza tra i fedeli e i sacerdoti? Chi lo trascura di più?
«Come faccio a saperlo? (sorride). Rispetto a una volta, abbiamo perso sicuramente il senso del Mistero, dell’invisibile e del soprannaturale. Tendiamo ad essere più colpiti e ad applicarci più diligentemente nelle cose concrete, quantificabili e misurabili; ciò porta poi come conseguenza quella di un impegno meno solerte in ciò che è trascendente, e dunque invisibile, perché ci trasmette un senso di arbitrarietà e di incertezza».
Comunque sia, è difficile trovare un confessore, oggi…
«Sì, non è facile. Oggigiorno i sacerdoti hanno un ministero molto più pesante di una volta e quindi sono meno stanziali. Anche nel confessionale. Tuttavia ricordiamoci che “chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto (Lc 11,10)”».
Cambiamo un attimo argomento. Vuol dire qualcosa ai Centauri che si ritroveranno a Messa domenica prossima a Castellazzo?
«Per la prima volta dopo tanti anni, non si terrà il motoraduno. Tuttavia lo sguardo della fede ci dice che “tutto coopera al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28), e quindi anche questi momenti così difficili, strani e surreali portano comunque con sé un tesoro di grazia, che noi dobbiamo individuare e valorizzare. Ai Centauri dico di pregare per i nostri amici che sono mancati, sia a causa di incidenti sia per il Covid, confidando nel fatto che la preghiera arriva anche laddove non è possibile incontrarsi fisicamente».
Andrea Antonuccio