Affrontiamo con il nostro Vescovo la nuova Enciclica
di papa Francesco
Eccellenza, vorremmo cominciare ad affrontare con lei alcuni punti della “Fratelli tutti”, la nuova enciclica di papa Francesco, per aiutarci nel lavoro di lettura e di piena comprensione del testo. Nel primo capitolo, intitolato “Le ombre di un mondo chiuso”, il Santo Padre scrive: «Dio infatti continua a seminare nell’umanità semi di bene. La recente pandemia ci ha permesso di recuperare e apprezzare tanti compagni e compagne di viaggio che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita». Anche Lei, Eccellenza, ha visto persone così?
«Sì, le ho viste e le ho anche ascoltate. Parliamo di medici, infermieri, operatori sanitari molto preparati, ma anche di persone che veramente si sono date da fare per procurare beni essenziali, dalle mascherine ai generi alimentari. Abbiamo visto una grande solidarietà reciproca, emersa in un modo inaspettato in un tempo di individualismo. Credo sia molto bello sottolineare che a fianco dei problemi del mondo c’è tuttavia un punto ineliminabile: il cuore dell’uomo è pronto all’amore e al perdono».
Nel secondo capitolo, “Un estraneo sulla strada”, il Pontefice commenta la parabola del buon samaritano: «Per i cristiani, le parole di Gesù hanno anche un’altra dimensione, trascendente. Implicano il riconoscere Cristo stesso in ogni fratello abbandonato o escluso». Mi sembra ci sia un’analogia con quanto lei ha scritto nella Lettera pastorale, quando ci ricorda che il nostro impegno di cristiani non è mettere ordine nella Storia, ma «guardare in modo differente il rapporto con il male».
«Il Papa dice che non possiamo cambiare certi problemi del mondo, anche se ci richiama a un doveroso impegno. Ma il vero invito è riuscire a guardare il fratello che ha bisogno, amandolo. Per noi cristiani questo amore è l’amore stesso di Cristo: un amore che viene donato non solo perché io possa vedere Cristo nel volto del fratello, ma anche perché il fratello veda in me Gesù».
Passiamo al terzo capitolo (“Pensare e generare un mondo aperto”). E qui è “bagarre”, perché Francesco scrive che «la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata». I “detrattori” del Papa su questa affermazione si sono scatenati, anche se non è il punto principale del capitolo. Però, nell’enciclica “Populorum progressio” promulgata il 26 marzo del 1967 (ripeto: 1967), san Paolo VI scrive: «La proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario». Lei che ne pensa, Eccellenza?
«I princìpi della fede sono di difficile comprensione per chi non ne penetra il mistero. Ricordo che con gli scout, quando facevamo i campi di spiritualità, a volte vivevamo delle situazioni parecchio “forti”, che a sentirle raccontare sembravano cose da pazzi: per il tempo dedicato alla preghiera, la lunghezza del cammino e le difficoltà. A un certo punto ci siamo accorti che non era intelligente raccontarle in giro, perché chi non le aveva provate, chi non era “dentro” a quell’esperienza, non riusciva a capirle. Per questo il discorso sulla proprietà privata lo possiamo comprendere soltanto quando abbiamo l’amore come chiave di lettura della realtà. L’intento del Santo Padre è invitarci ad avere uno sguardo diverso e amoroso sulle cose, e a soccorrere chi è in difficoltà con una distribuzione più utile e mirata dei beni».
Ci fermiamo qui, Eccellenza. Vorremmo però chiederle una guida alla lettura di “Fratelli tutti”…
«A mio parere il Papa sente di essere, al momento, l’unica figura al mondo che abbia la statura morale per essere ascoltata da tutti, e credo voglia disinnescare i problemi e i conflitti culturali e di civiltà che possono minare la pace in questo frangente storico. Vuole proporre un cammino comune verso il Bene, chiamare a raccolta gli uomini sparsi nel mondo, in luoghi diversi e di culture diverse, a prescindere dalla fede. Certamente se noi vogliamo invece dare di questa Enciclica una lettura prevalentemente teologica, cristiana ad intra, rischiamo di rimanere brutalmente delusi, perché non stiamo cercando nel luogo giusto».
Andrea Antonuccio