Verso il Natale, con il nuovo Messale Romano
Eccellenza, la prima domanda è d’obbligo: come sta?
«Sto bene, anche se sono un po’ stanco… Mi hanno detto che lo “strascico” è lungo, quindi questo Covid un po’ mi dà fastidio (sorride)».
In questi giorni di quarantena, di convivenza con il Covid, che cosa ha imparato?
«Ho imparato tante cose, sono stati giorni in cui sono stato con me stesso, davanti al Signore, davanti alla Parola di Dio. Soprattutto portato dall’Apocalisse davanti alla Liturgia, perché la Liturgia è luogo della presenza dell’Agnello che celebriamo. Ed è stato veramente un momento di crescita, di incontro particolare, nonostante non avessi qui con me la comunità. Pensavo, celebrando Messa senza nessuno, di sentire la solitudine… invece, inspiegabilmente, mi sono sentito parte viva della Chiesa. Questo è stato bello e mi ha aiutato. Me n’ero reso conto, e adesso ho avuto una conferma, che io sono risultato delle preghiere di tante persone. Per questo voglio ringraziare tutti».
Entriamo nei nuovi contenuti del Messale Romano. Prima si diceva: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. Da domenica 29, invece, sarà: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore». Sono finiti gli uomini di buona volontà?
«No (sorride), è una questione di traduzione e di sfumature. Se noi fossimo greci certamente avremmo una vita migliore, non tantissimo ma un po’ sì. Non essendolo, dobbiamo ricorrere a delle traduzioni, rispetto ai testi del Nuovo Testamento. A volte chiedono lunghi giri di parole per rendere un’espressione, a volte invece ci sono espressioni che sono a mezza via. Tradurre è sempre un po’ tradire: tutte le volte si lascia da parte qualche pezzo. Per esempio, per il “Padre Nostro” abbiamo fatto una scelta pastorale che, rispetto a una traduzione letterale, è più complicata da capire. Tornando alla domanda, non vuol dire che non esistono più gli uomini di buona volontà, ma forse questa traduzione va maggiormente dietro a una fedeltà al testo originale».
Ma questi cambiamenti non creano confusione tra i fedeli?
«Io raccomando a tutti di adeguarsi a queste modifiche: nel “Padre Nostro”, oltre a “non abbandonarci alla tentazione” c’è un “anche” in più: “Rimetti i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Chiedo a tutti di imparare queste novità: dobbiamo abituarci a pregare in un altro modo, perché altrimenti non riusciremo più a dire un “Padre Nostro” insieme. Non è una questione semplicemente formale, ma è una scelta profonda: riuscire a pregare con ancora più convinzione e profondità».
C’è ancora una modifica che affronterei insieme a lei. Da: «Beati gli invitati alla Cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo» a «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello».
«Questo testo è preso integralmente dall’Apocalisse. “Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo” è tratto dal Vangelo secondo Giovanni, quando il Battista parla a Giovanni e Andrea, futuri Apostoli del Signore, e indica Gesù con queste parole. Accompagnati dal grido dell’Angelo che dice: “Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello”. Noi avevamo “cena del Signore”, decisamente più debole, ma questo richiamo alla cena dell’Agnello è al banchetto finale, non all’ultima cena. Quindi più al futuro che al passato. E poi c’è la continuità in latino, che in italiano avevamo perso, con tutta l’assemblea che invoca: “Agnello di Dio che togli i peccati del mondo abbi pietà di noi, abbi pietà di noi, dona a noi la pace”. Ed è bello che il celebrante risponda: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo, beati gli invitati alla cena dell’Agnello”. Diventa più coinvolgente e più logico».
Ci lascia con un augurio per questo Avvento?
«L’Anno liturgico ogni anno ci fa crescere verso il Cielo in modo inesorabile, anche se sembra impercettibile. Inizia un nuovo Anno, inizia un nuovo “giro” della Grazia divina, accompagnandoci attraverso i Misteri della vita di Cristo. Tocca a noi riuscire a godere di questo Anno con profondità e farne un’offerta amorosa al Signore, amando sempre di più, riversando sempre più amore dentro la nostra vita e quella dei nostri fratelli. È l’augurio che faccio anche a voi: di riuscire a cogliere questa dimensione in modo che il tempo liturgico offerto non sia semplicemente inteso come “kronos”, ma come “kairos”, ovvero un evento di grazia, un luogo in cui incontriamo il Signore, in cui santifichiamo veramente Colui che ci ha donato la vita, i giorni e il tempo».
Andrea Antonuccio
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