«Rimanete nel mio amore:
produrrete molto frutto»
Appuntamento conclusivo sabato 23 alle ore 19.00 per la preghiera ecumenica che verrà trasmessa in diretta streaming. Insieme con il nostro Vescovo monsignor Guido Gallese, Lucilla Peyrot, pastora delle chiese metodiste di Alessandria, Bassignana e San Marzano Oliveto. Modera don Stefano Tessaglia.
L’icona biblica
«Io sono la vera vite. Il Padre mio è il contadino. Ogni ramo che è in me e non dà frutto, egli lo taglia e getta via, e i rami che danno frutto, li libera da tutto ciò che impedisce frutti più abbondanti. Voi siete già liberati grazie alla parola che vi ho annunziato.
Rimanete uniti a me, e io rimarrò unito a voi. Come il tralcio non può dar frutto da solo, se non rimane unito alla vite, neppure voi potete dar frutto, se non rimanete uniti a me. Io sono la vite. Voi siete i tralci. Se uno rimane unito a me e io a lui, egli produce molto frutto; senza di me non potete far nulla. Se uno non rimane unito a me, è gettato via come i tralci che diventano secchi e che la gente raccoglie per bruciarli. Se rimanete uniti a me, e le mie parole sono radicate in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. La gloria del Padre mio risplende quando voi portate molto frutto e diventate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi: rimanete nel mio amore!
Se metterete in pratica i miei comandamenti, sarete radicati nel mio amore; allo stesso modo io ho messo in pratica i comandamenti del Padre mio e sono radicato nel suo amore. Vi ho detto questo, perché la mia gioia sia anche vostra, e la vostra gioia sia perfetta.
Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici se fate quel che io vi comando. Io non vi chiamo più schiavi, perché lo schiavo non sa che cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto sapere tutto quel che ho udito dal Padre mio.
Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho destinati a portare molto frutto, un frutto duraturo. Allora il Padre vi darà tutto quel che chiederete nel nome mio. Questo io vi comando: amatevi gli uni gli altri».
Gv 15, 5-9
Papa Francesco
Cari fratelli e sorelle,
esprimo la mia vicinanza alle popolazioni dell’isola di Sulawesi, in Indonesia, colpita da un forte terremoto. Prego per i defunti, per i feriti e per quanti hanno perso la casa e il lavoro. Il Signore li consoli e sostenga gli sforzi di quanti si stanno impegnando a portare soccorso. Preghiamo insieme per i nostri fratelli di Sulawesi, e anche per le vittime dell’incidente aereo avvenuto sabato scorso, sempre in Indonesia. Ave, Maria…
Oggi in Italia si celebra la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. Mi rallegro per questa iniziativa che prosegue da oltre trent’anni e auspico che porti frutti abbondanti di fraternità e di collaborazione.
Domani è una giornata importante: inizia la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Quest’anno il tema si rifà al monito di Gesù: «Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto» (cfr Gv 15,5-9). Lunedì 25 gennaio concluderemo con la celebrazione dei Vespri nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, insieme con i rappresentanti delle altre Comunità cristiane presenti a Roma. In questi giorni preghiamo concordi affinché si compia il desiderio di Gesù: «Che tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). L’unità, che sempre è superiore al conflitto.
Rivolgo il mio cordiale saluto a voi che siete collegati attraverso i mezzi di comunicazione sociale. A tutti auguro una buona domenica. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!
Lettera ecumenica
Care sorelle e cari fratelli,
mai come in questo tempo abbiamo sentito il desiderio di farci vicini gli uni gli altri, insieme alle nostre comunità che sono in Italia. La sofferenza, la malattia, la morte, le difficoltà economiche di tanti, la distanza che ci separa, non vogliamo nascondano né diminuiscano la forza di essere uniti in Cristo Gesù, soprattutto dopo aver celebrato il Natale. La sua luce, infatti, è venuta ad illuminare la vita delle nostre comunità e del mondo intero: è luce di speranza, di pace, luce che indica un nuovo inizio. Sì, non possiamo solo aspettare che dopo questa pandemia “tutto torni come prima”, come abitualmente si dice.
Noi, invece, sogniamo e vogliamo che tutto torni meglio di prima, perché il mondo è segnato ancora troppo dalla violenza e dall’ingiustizia, dall’arroganza e dall’indifferenza. Il male che assume queste forme vorrebbe toglierci la fede e la speranza che tutto può essere rinnovato dalla presenza del Signore e della sua Parola di vita, custodita e annunciata nelle nostre comunità. In questi mesi di dolore e di grande bisogno abbiamo visto moltiplicarsi la solidarietà. Molti si sono uniti alle nostre comunità per dare una mano, per farsi vicino a chi aveva bisogno di cibo, di amicizia, di nuovi gesti di vicinanza, pur nel rispetto delle giuste regole di distanziamento.
Sentiamo il bisogno di ringraziare il Signore per questa solidarietà moltiplicata, ma vogliamo dire anche grazie a tanti, perché davvero scopriamo quanto sia vero che «c’è più gioia nel dare che nel ricevere» (cfr. Atti 20,35). La gratuità del dono ci ha aiutato a riscoprire la continua ricchezza e bellezza della vita cristiana, inondata dalla grazia di Dio, che siamo chiamati a comunicare con maggiore generosità a tutti. Così, non ci siamo lasciati vincere dalla paura, ma, sostenuti dalla presenza benevola del Signore, abbiamo continuato ad uscire per sostenere i poveri, i piccoli, gli anziani, privati spesso della vicinanza di familiari e amici. Le nostre Chiese e comunità hanno trovato unità in quella carità, che è la più grande delle virtù e che, unica, rimarrà come sigillo della nostra comunione fondata nel Signore Gesù.
Desideriamo, infine, intensificare la preghiera gli uni per gli altri, per i malati, per coloro che li curano, per gli anziani soli o in istituto, per i profughi, per tutti coloro che soffrono in questo tempo. Come abbiamo scritto nella presentazione del sussidio per la Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, oggi la nostra preghiera sale intensa, perché il Signore guarisca l’umanità dalla forza del male e della pandemia, dall’ingiustizia e dalla violenza, e ci doni l’unità tra noi. Ci uniamo con la nostra preghiera anche nella memoria del Metropolita Zervos Gennadios, che per diversi anni ha condiviso con noi il cammino verso la piena unità e ci ha lasciato il 16 ottobre dello scorso anno.
La preghiera stessa infatti diventi a sua volta fonte di unità. Ignazio di Antiochia ricorda ai cristiani di Efeso nei suoi scritti: «Quando infatti vi riunite crollano le forze di Satana e i suoi flagelli si dissolvono nella concordia che vi insegna la fede». Rimanere in Gesù vuol dire rimanere nel suo amore. Quell’amore che ci spinge ad incontrare senza timore gli altri, specialmente i più deboli, i periferici, i poveri ed i sofferenti, come Gesù stesso ci ha insegnato, percorrendo senza sosta le strade del suo tempo. Viviamo e celebriamo la nostra unità nella preghiera comune, che vedrà riunite le nostre comunità soprattutto in questa settimana. Un fraterno saluto a tutti nell’amicizia e nella stima che ci uniscono.
Roma, 14 gennaio 2021
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Ambrogio Spreafico
Presidente della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo
Sua Em.za Rev.ma
Mons. Polykarpos Stavropoulos
Vicario Patriarcale della Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e Malta
Pastore Luca Maria Negro
Presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia
Dialogo ecumenico e interreligioso
Ogni anno, specialmente durante la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) le diverse comunità si impegnano per questa speciale intenzione, per la quale Gesù stesso ha pregato. La sua preghiera per l’unità è un invito a tornare a lui e, quindi, a riavvicinarci gli uni agli altri, rallegrandoci delle nostre diversità.
Particolarmente significativo appare così il versetto biblico scelto per l’anno 2021: «Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto» (Gv 15, 5-9). Il Signore Gesù rivolge queste parole ai suoi discepoli in un’ora di preoccupazione, incertezza e sofferenza, subito prima della sua passione. Egli è preoccupato per i suoi discepoli, per ciò che avverrà dopo la sua morte. Sono parole che volgono quindi lo sguardo al futuro, per loro ma anche per noi: oggi l’umanità intera sta attraversando ancora una stagione di grande sofferenza, colpita nel profondo dall’epidemia di Covid-19 e dalle sue devastanti conseguenze sociali. Non c’è stato paese che non abbia avuto i suoi lutti e anche coloro che sono stati risparmiati devono fare i conti con la crisi che ne è scaturita. Come reagire davanti a tutto questo? C’è ancora un futuro insieme? Potremo ancora rialzarci e portare frutti?
La risposta di Gesù nell’ora della prova è chiara. Egli pronuncia un discorso carico di autorevolezza e allo stesso tempo di misericordia, indicando una strada inedita: «Io sono la vite, voi i tralci… rimanete uniti a me». È Gesù il nostro centro, portatore di vita e di speranza, come la linfa che scorre dalla pianta verso le sue estremità, senza escludere nessuna, neanche quelle più lontane. È un’immagine semplice ma efficace, a cui farà eco quella utilizzata nella Prima lettera ai Corinzi da San Paolo, che presenta il rapporto tra Cristo capo e le sue membra in un unico corpo (cap. 12).
Gesù vuole rassicurare tutti noi tralci, ci chiede di non temere davanti alle difficoltà e ai tempi bui: la forza, l’energia e la vita provengono da lui, non le dobbiamo cercare in noi stessi, o altrove. Il Signore non dimentica nessuno, neanche i rametti più piccoli e lontani, oppure quelli più nodosi e induriti dal tempo o dalle difficoltà dell’esistenza; di tutti si prende cura.
È un’indicazione davvero preziosa per noi, cristiani di diverse confessioni. Ogni fronda, ogni tralcio non è mai uguale all’altro, ha avuto un suo sviluppo, produce foglie e frutti in quantità diversa, ma non è questo che importa al Signore. L’importante, infatti, è rimanere in lui. E noi lo possiamo fare insieme, proprio in questo tempo difficile. Vi è infatti nelle parole di Gesù, un’insistenza precisa, un appello urgente rivolto ai suoi: “Rimanete in me”. Il Signore chiede a ciascuno di noi di non fuggire via, arroccati sulle nostre posizioni, presi dalle nostre idee e dai nostri progetti, dalla tentazione di ripiegarci o chiuderci in noi stessi.
Ci chiede non un’agitazione sterile, un attivismo sfrenato, ma innanzitutto un rapporto saldo e vivificante con la sua Parola. «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi…». Essere discepoli del Risorto vuol dire meditare ogni giorno la sua Parola, fonte di amore, di misericordia, di unità e questo rapporto personale e intenso con le Scritture è garanzia perché ogni nostra preghiera venga esaudita: «Chiedete quello che volete e vi sarà fatto». E oggi la nostra preghiera sale intensa perché il Signore preservi l’umanità dal male e dalla divisione.
don Stefano Tessaglia
Servizio diocesano ecumenismo e dialogo interreligioso
Padri Contemplativi
In uno straordinario inno per la festa dell’Epifania Sant’Efrem canta: «Siete diventati figli di Dio, fratelli e amici di Cristo, congiunti dello Spirito nel battesimo, figli della luce in virtù delle acque. Benedetto colui che ha moltiplicato la vostra bellezza». Pregare per l’unità dei cristiani significa tornare a questa percezione: se la benedizione si risolve nell’aver moltiplicato la nostra bellezza, venir meno, sporcare, far sfiorire questa bellezza, comporta il veder scemare la benedizione. E quello che è grave, è il fatto di vederla scemare sul mondo e non solo su noi stessi, per nostra responsabilità.
La bellezza della Chiesa sta nella sua unità. La prima nota che confessiamo nel Credo a proposito della Chiesa è che essa è una. Se la Chiesa è sacramento di salvezza, lo è perché è una, nel senso che porta a unità la famiglia umana, perché Dio sia benedetto da tutti per il Suo amore. Come veniamo riscoprendo drammaticamente in questo periodo di pandemia a livello mondiale, l’umanità si ritrova solidale nella debolezza: un nemico invisibile e insidioso ci rende tutti uguali. Non è automatico che avvenga, ma passare dal percepirsi uguali all’essere più fratelli, il passo è breve, è più facile.
Quando tutte le Chiese si ritrovano unite a pregare per l’unità dei cristiani si diventa più consapevoli della debolezza comune e nel consentire all’azione dello Spirito di realizzare quello per cui ci è stato effuso: fare di tutti, in Gesù, una cosa sola perché il mondo creda e abbia la vita. Secondo il vangelo di Giovanni, due sono le ragioni della venuta del Messia. La prima è mostrare la grandezza dell’amore del Padre («Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna», Gv 3,16). La seconda è radunare i figli di Dio dispersi («Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi», Gv 11,52).
Se le Chiese non fremono più per questa unità non custodita, lacerata, come perse ciascuna nella difesa di una propria gloria esibita, è come perdessero di vista due cose essenziali: la suprema bontà di Dio che riguarda tutti e l’attesa delle genti. La fede è motivo di speranza per tutti, perché a tutti è dovuta l’eredità del Regno. Ma se coloro che condividono la stessa fede nel Signore Gesù non sono più sensibili allo scandalo della divisione, vuol dire che non riconoscono più l’urgenza del Vangelo, che è l’eredità delle genti.
S. Paolo definisce così il ministero della Chiesa: «Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,18-20).
L’essere testimoni di quel mistero è di per sé così impegnativo e coinvolgente che non c’è bisogno di puntare ad altri obiettivi, che non siano l’attuazione concreta di quel vivere semplicemente il ‘compimento’ del Regno di Dio, accoglierlo e camminare insieme, suscitare e stabilire comunione, ovunque, con chiunque, amici e nemici, senza preclusione alcuna, in Cristo. Così, il lavoro che attende le Chiese è quello di riflettere insieme sul destino della verità in un mondo sempre più pluralista e di rendere amabile ciò che il vero implica, in vista di una fraternità rinnovata, per il mondo intero.
Dalla tensione verso questa unità scaturisce l’urgenza della preghiera perché i cristiani siano una cosa sola, perché il mondo veda e creda. Possa davvero la condivisione della preghiera per l’unità dei cristiani purificare gli occhi di tutti, per vedere la storia delle Chiese e del mondo con benevolenza reciproca, imparando che la verità non è mai da difendere ma da far risplendere.
padre Elia Citterio
Padri Contemplativi
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