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Guarda la seconda puntata di “Benvenuti Centauri!” dal titolo “La Libertà”

Benvenuti Centauri!

Sua Eccellenza Marco Tasca, arcivescovo metropolita di Genova, risponde alla domanda “L’ultima volta che ti sei sentito libero?”, l’ospite è don Filippo Cappelli, sacerdote appassionato di moto della diocesi di Cesena-Sarsina, con quattro lauree e un grande impegno nella Pastorale.

Monsignor Marco Tasca, arcivescovo metropolita di Genova – La libertà

Libertà è una parola magica oggi. È una realtà alla quale tutti vogliamo andare incontro: vogliamo sentirci liberi. L’ultima volta che mi sono sentito libero era un giorno in cui mi trovavo in un cimitero: ero lì per una funzione e stavo per uscire, perché la giornata era piena di impegni.

A un certo punto si è avvicinata una signora che voleva parlarmi: voleva raccontarmi di suo marito, morto di Covid, della sua angoscia di non averlo più potuto vedere, di non averlo più potuto abbracciare, di non aver più potuto parlare con lui. Mi ha accompagnato alla tomba di quest’uomo per una preghiera. È stato un momento di vera libertà quello di dire «Sì, voglio stare con questa persona», condividere per quanto possibile il suo dolore, la sua fatica, la sua difficoltà.

Tante volte io credo che ci sia un grosso fraintendimento: ovvero che la libertà sia fare quello che voglio, quello che mi sento, quello che mi pare importante. O anche essere “liberi da”: liberi dalle schiavitù, dalle cose che mi impediscono di crescere. Ma credo che l’aspetto più bello sia quello di essere “liberi per”: per condividere, per fare qualcosa per gli altri, per essere con gli altri.

Ed è proprio l’augurio che faccio a tutti voi. Davvero Maria fu libera dai suoi progetti e dai suoi sogni, ed ha abbracciato il sogno di Dio: la sua è stata una vita felice. È quello che vi auguro di sperimentare.

Don Filippo Cappelli, potresti presentarti ai nostri lettori?

«Sono nato a Cesena il 24 marzo del 1976, sono un motociclista e un appassionato di calcio, di cinema, di fumetti, dei libri di Borges e di Kafka ma soprattutto sono un sacerdote. Sono stato ordinato il 28 giugno 2014, dopo essermi laureato in teologia. Tra i tanti difetti, se ho un pregio è sicuramente quello della curiosità: ho sempre amato capire le cose, trovare il senso di ciò che dico. Precedentemente alla laurea in teologia infatti avevo già conseguito altre quattro lauree: una al Dams, una in filosofia, una in cinematografia e una in psicologia. Inoltre lavoravo come giornalista e ho collaborato con diverse riviste e quotidiani, in particolare proprio con i settori dedicati al calcio e al cinema. Ultimamente sono stato chiamato da don Gionatan De Marco che è Direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport della Cei a coordinare varie iniziative del tavolo di lavoro della Pastorale della Strada, che si occupa di problematiche relative al luogo della strada come ambito pastorale, cioè che fa attività tra gli utenti della strada come automobilisti, camionisti e motociclisti senza dimenticare i senza fissa dimora, cioè coloro che vivono la strada per scelta o necessità».

Quando è stata l’ultima volta che ti sei sentito libero?

«Quando ho lasciato molto di quello che avevo, quindi le sicurezze e gli approdi. Penso che sulla strada della libertà io debba fare ancora molta strada, appunto (ride). Non mi pare infatti che la libertà sia un concetto concluso in sé. La libertà è sempre “libertà da”: ho capito che più lasciavo di quello che avevo, non tanto in termini materiali ma più “intimi”, più lasciavo terreno a Dio e quindi alla mia libertà. Dopo qualche tempo, approfondendo con il Padre Spirituale questi discorsi, ho anche compreso che la libertà può diventare qualcosa di attivo: quindi non solo “libertà da”, anche e soprattutto “libertà per”. In questo senso devo dire che molto mi hanno insegnato sia la moto sia la passione per la montagna. Per essere liberi, uno sforzo è necessario: la montagna dà ritmo ai passi. Oggi è vero che i progressi della meccanica hanno reso la montagna un luogo comune, agevole: il suo potenziale liberante è stato un po’ ridotto. Oggi è un luogo di svago, di villeggiatura e di turismo. Però deve essere riconquistata, come la libertà, giorno dopo giorno».

Che cosa c’è che sulla strada si vede e che noi magari invece andando su comode automobili, su treni o su aerei non riusciamo più a scorgere?

«Credo che per vivere veramente la strada e per scorgere ciò che non vediamo serva un cambiamento di sguardo. La strada non è solo quel lungo foglio di asfalto di centinaia e centinaia di chilometri che piano piano si dipana a qualche centimetro sotto di noi mentre acceleriamo. La strada è incontro, è la possibilità di fermarsi e valutare il sé, il proprio tempo e la propria vita. La strada è chi ti guarda mentre passa. Niente mostra il cammino che è stato percorso tranne il ricordo di un volto di Dio che ci ha accompagnato. Di una strada io non ricordo mai i chilometri che si sono fatti nel viaggio: ricordo meglio le impronte che si sono lasciate».

Da questo punto di vista il viaggio più memorabile che hai fatto in moto qual è stato?

«Ricordo un fatto da cui è nata anche la mia passione per le moto. Avevo 18 anni, dovevo sostenere l’esame per l’abilitazione alla guida: ero al mare, sulla spiaggia mi godevo il sole dell’estate. Avevo anche un certo numero di libri da leggere che era stato il frutto delle scorribande in libreria dei mesi invernali. Ancora non lo conoscevo, ma incontrai sulla scaffalatura Robert M. Pirsig, autore del successo editoriale “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, che diceva proprio questo: “Se fai le vacanze in motocicletta le cose assumono un aspetto diverso”. Perché se sei dentro l’auto, sei in una cornice, segui da spettatore, come con di fronte alla tv quello che è il paesaggio, mentre se sei in moto la cornice non esiste: hai un contatto completo con ogni cosa, non sei più uno spettatore della scena ma diventi interno alla scena. Io direi che il primo viaggio è stato proprio questo: l’ho fatto da seduto su un telo, però è stato il più bello, che ancora ricordo».

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