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“Lo Stato della Chiesa”: religione e politica

“La recensione” di Fabrizio Casazza

«Ciò che contraddistingue lo Stato della Chiesa non è semplicemente il fatto di essere un principato ecclesiastico, ma il dato che il suo sovrano, il vescovo di Roma, articolava la sua azione a livello mondiale» (p. 10). Così riassume Stefano Tabacchi, storico e consigliere parlamentare nella Camera dei deputati, nel suo recente Lo Stato della Chiesa, pubblicato nella collana Universale Paperbacks delle edizioni Il Mulino (pp 183, euro 16).

Aspetto religioso e aspetto politico s’intrecciano così nel corso dei secoli, risentendo del contesto e delle tendenze delle varie epoche. Nel Seicento il potere pontificio «deve confrontarsi con il controllo rivendicato dai sovrani sulle varie chiese nazionali, spesso fortemente autonome. Il papa è, allo stesso tempo, sovrano assoluto nel suo Stato, titolare anche di diritti feudali su diverse realtà politiche italiane» (p. 60).

Roma peraltro divenne capitale dell’arte tanto che il suo modello, «basato su grandi e scenografiche piazze, si impose in tutta l’Europa, contribuendo a forgiare un linguaggio comune, e si estese, in piccolo, anche ai centri urbani minori dello Stato della Chiesa» (p. 72). Intanto l’Urbe non fu «solo la capitale dello Stato, ma un crocevia di poteri che facevano riferimento alle grandi potenze cattoliche» (p. 98).

Nel Settecento «emerge in maniera chiara il declino del modello politico dello Stato della Chiesa rispetto alle più generali tendenze della politica europea. […]. Ad entrare in crisi fu piuttosto il ruolo internazionale del papato e dello Stato della Chiesa, a causa delle grandi trasformazioni politiche e culturali che misero in discussione gli elementi fondanti della antica Christianitas» (p. 111).

Per reagire a questa situazione i Papi «finirono per usare largamente il prestigio culturale come strumento di propaganda, col risultato di incrementare il rilievo di Roma come capitale della cultura e delle arti, se non delle scienze» (p. 124).

Per quanto riguarda Pio VI, morto da deportato in Francia nel 1799, il libro lo definisce «il papa dell’irrigidimento antimoderno, che inaugurò il suo regno con una durissima enciclica di condanna dell’Illuminismo. Dall’altro lato, fu il papa che più tentò un vasto progetto di modernizzazione dello Stato, basato su una volontà centralizzatrice e unificatrice che cercava di superare corpi e interessi particolari» (p. 139).

La storia dello Stato della Chiesa – che nell’Ottocento «era ormai sottoposto a una forma di sovranità limitata», poiché per la sua esistenza «dipendeva in maniera sostanziale dall’accordo tra Francia e Austria, determinatosi nell’ambito del balance of power continentale» (p. 165) – terminò il 20 settembre 1870, con l’invasione da parte delle truppe italiane.

Aggiungiamo che nel 2020, ricordando quell’evento, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, si espresse con parole inequivocabili: «La missione del papato ne acquistò tantissimo nella sua dimensione universale e anche nella sua indipendenza. Dobbiamo leggere la storia nei lunghi periodi, aspettare che si realizzino i tempi di Dio che non sono i nostri». Lo Stato della Città del Vaticano dal 1929 assicura l’indipendenza e sovranità della Santa Sede in ambito internazionale.

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