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Siamo entrati in Quaresima: e adesso?

Care lettrici,

cari lettori,

siamo appena entrati nel periodo di Quaresima. Ogni anno provo a scrivere sull’argomento, cercando di non cadere nella trappola delle parole un po’ scontate con cui penso (e pensiamo) di cavarcela a buon mercato con Nostro Signore. «Rinuncio a questo, rinuncio a quello»: come se il Padreterno, da buon ragioniere della Fede (che non è), riportasse sul suo quadernino i risultati dei nostri sforzi.

Chi tra noi ha figli o nipoti ha dovuto prima o poi rispondere a qualche domanda difficile su questi temi: le risposte che siamo stati in grado di dare sono indicative della nostra coscienza di Fede più di quanto riteniamo. Allora mi chiedo: io che cosa potrei dire di vero della Quaresima, senza ridurla a una rinuncia o a un “fioretto” dettato dalla mia forza di volontà?

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica si legge che la Quaresima è uno dei “momenti forti della pratica penitenziale della Chiesa. Questi tempi sono particolarmente adatti per gli esercizi spirituali, le liturgie penitenziali, i pellegrinaggi in segno di penitenza, le privazioni volontarie come il digiuno e l’elemosina, la condivisione fraterna (opere caritative e missionarie)”.

Bene, ma a me non basta. Già la vita di tutti i giorni sembra essere una penitenza continua… che senso ha aggiungerne un’altra? Forse un inizio di risposta a questo dubbio sta nelle parole del Papa nell’Udienza di questo mercoledì 14 febbraio: «Benché sotto la sferza dell’accidia il desiderio dell’uomo sia di essere altrove, di evadere dalla realtà, bisogna invece avere il coraggio di rimanere e di accogliere nel mio “qui e ora”, nella mia situazione così com’è, la presenza di Dio». Verificare se davvero Dio è presente nel mio “qui e ora”.

E se, anche mangiando la salamella il venerdì, ho il coraggio di accoglierLo nella mia situazione, così com’è. Senza lamentarmi. Questa per me è l’offerta più grande. 

E per voi?

Andrea Antonuccio

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