Nato ad Alessandria nel 1957, Roberto Celada Ballanti è dottore in giurisprudenza e in filosofia, materia quest’ultima in cui si è laureato con Giovanni Moretto, già parroco di Levata, scomparso nel 2006. Dopo aver insegnato per dieci anni nei licei, oggi è docente di Filoso a della religione e Filosofia del dialogo interreligioso all’Università di Genova. E’ stato appena pubblicato il suo ultimo libro, La parabola dei tre anelli, migrazioni e metamorfosi di un racconto tra Oriente e Occidente (Edizioni di Storia e Letteratura, 254 pagine, 18 euro).
Professor Ballanti, parliamo del suo libro. E’ la storia della parabola dei tre anelli, che noi conosciamo nella versione del Boccaccio. È la terza novella della prima gior- nata del Decameron, riscoperta e riproposta durante l’Illuminismo, dopo secoli di oblio, dallo scrittore tedesco Ephraim Lessing nel dramma teatrale Nathan il saggio, uscito nel 1779. Lessing riprende da Boccaccio, è lui stesso a dirlo, questo racconto. In realtà, l’origine va ricer- cata molto più indietro nel tempo. La più antica redazione conosciuta è la parabola della perla caduta nella notte, contenuta in un dialogo tra Timoteo I e al-Mahdī nella Baghdad del secolo VIII. La Spagna islamica è stata la porta di ingresso occidentale di questo racconto, che venne poi recepito in Italia da Boccaccio. Nella Spagna del 1000-1100, alla corte del cali o a Cordova c’erano cristiani ed ebrei che servivano a corte. Questo è interessante, perché “la terra degli anelli” è, innanzitutto, un ambiente dove esisteva uno scambio culturale, c’erano contaminazioni e ibridazioni di carattere religioso.
Cosa racconta la novella? Prendiamo la versione di Boccaccio. Boccaccio dice che in tempi memorabili c’era un padre che aveva un anello preziosissimo, di grande valore, che si trasmetteva di volta in volta al glio prediletto. A un certo punto l’anello arriva a un padre che ha tre gli, tutti ugualmente amati. Non sapendo a chi lasciare l’anello, il padre chiama un valente orafo per realizzare due copie assolutamente identiche all’originale. Gli anelli così diventano tre: e il padre li confonde, al punto da non riuscire più a distinguere l’originale dalle copie. Distribuisce a ogni figlio un esemplare, e muore. Al momento di rivendicare l’eredità, i figli si scoprono tutti e tre in possesso di un anello, ma non sanno dire quale sia quello autentico.
Conclusione? Un anello autentico c’è, ma non sappiamo più qual è. Una rivelazione originale c’è, dunque, ma si è confusa con le altre. Dunque il luogo della vera religione è in qualche modo incerto. Tutti si possono dire potenzialmente titolari della rivelazione autentica, ma coltivano il dubbio che possa essere dell’altro.
I tre anelli che cosa rappresentano? I tre anelli sono le tre religioni del Libro: Ebraismo, Islam e Cristianesimo. Questa è una parabola di tolleranza: indica il fatto che io sono il titolare di un anello potenzialmente autentico; però anche altri potrebbero possedere l’originale. C’è una situazione di sospensione, di incertezza. La conclusione di Boccaccio, infatti, è che “ancora ne dipende la questione” e penderà no alla ne dei tempi. Dunque il luogo della vera religione, della vera Chiesa, della vera fede è in qualche modo incerto.
Non si rischia di diventare relativisti? Direi di no. Questa parabola è un invito all’uomo a cercare la verità, cioè a dimostrare di essere in possesso dell’anello autentico attraverso l’esercizio della carità, dell’amore a Dio e verso i fratelli. È vero che è una sospensione, un dubbio insinuato all’interno delle religioni del Libro: ma è un dubbio attivo, una “epochè” attiva; spinge a dimostrare di essere in possesso dell’anello autentico.
Andrea Antonuccio