Commento al Vangelo di Domenica 4 febbraio 2018
V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Perché esistono la sofferenza e la morte? Potrebbe essere questo l’interrogativo che pone la Parola di Dio di questa domenica. Il Dio infinitamente buono che ha creato il mondo e le cose tutte bene, perché permette tanta sofferenza e morte? È una antica domanda di non facile risposta, ma stimolante per dare senso alla vita. Il brano della prima pagina è tratto dal libro biblico che per scelta tratta del tema della sofferenza e della morte: il libro di Giobbe. Scritto nel periodo dell’esilio babilonese, attraverso la metafora della dura prova del credente Giobbe, al quale viene tolto tutto, si presenta la condizione agonizzante del popolo d’Israele. L’Apostolo Paolo dichiara il suo essersi “fatto debole con i deboli”, con il desiderio che tutti siano salvi. Il tema della debolezza-abbassamento è utilizzato anche per descrivere la condizione di Cristo.
Nel brano evangelico di Marco è descritta una “giornata di Gesù”. Qui l’evangelista fa notare che la giornata di Gesù è caratterizzata da alcuni atteggiamenti: Gesù sta con la gente, Gesù prega, Gesù annuncia il Vangelo, Gesù guarisce dalle malattie, fisiche e spirituali. Tutta questa riflessione ruota attorno al problema del male evitabile e inevitabile. Il male evitabile è ciò che deriva dai comportamenti, pensieri e parole delle persone quando non sono in conformità alla Parola di Dio, dove Dio non può intervenire direttamente poiché rispetta la libertà.
Esaltare la gioia in antitesi alla sofferenza
Il male inevitabile è dato dai limiti della natura umana, votata alla caducità, alla sofferenza e alla morte, perché il mondo terreno non è ancora nella perfezione dell’incontro finale con il Risorto. Questo lo si può affrontare positivamente e realmente grazie alla medicina e all’amore umano che possono alleviare le sofferenze. Due diverse sorgenti, distinte, ma sempre connesse.
Ma, occorre sottolineare che non esiste nel Nuovo Testamento un qualche riferimento al legame diretto tra peccato e malattia, anzi Gesù stesso interrogato a proposito dell’infermità del cieco nato (Gv 9,141), risponde che né lui, né i suoi genitori hanno peccato, ma è così perché si manifestino in lui le opere di Dio.
Qual è l’atteggiamento giusto? I credenti cristiani devono reagire positivamente: esaltare la gioia in antitesi alla sofferenza, riconoscere la radice del bene nella passione, morte e resurrezione di Gesù, alimentare la fiducia nel potere salvifico di Dio e confermare la fiducia in Cristo, vincitore del peccato e della morte. Perché forte come la morte è l’amore (Ct 8,6).
don Giuseppe Di Luca