Un appuntamento che incuriosisce, quello di sabato 17 nel salone dell’Alexandria International School di Alessandria. La «Festa degli innamorati», organizzata dalla Pastorale familiare diocesana, propone infatti un incontro con un criminologo. Ma chi è mai costui, e che cosa c’entra con gli innamorati? Proviamo a scoprirlo insieme. Laurea in Giurisprudenza, specializzazione in Criminologia clinica nella Facoltà di Medicina, un Master europeo in mediazione e gestione dei conflitti in Svizzera, e tanta, tanta esperienza sul campo: il «nostro» criminologo è Marco Bertoluzzo, docente all’Università degli Studi di Torino nel corso di laurea in Psicologia e responsabile del Consorzio Socio Assistenziale Alba Langhe Roero. «Età 54 anni, segno zodiacale Vergine, squadra del cuore Toro» ci confessa, con una bella risata. Difficile litigare con un tipo così…
Professor Bertoluzzo, che cos’è il conflitto?
«La cultura contadina nella quale siamo cresciuti ci ha educato a evitare i litigi. Mia madre diceva sempre che “un fratello e una sorella non devono mai litigare”. E comunque, guai a farsi sentire dai vicini! All’opposto, per una certa ideologia degli Anni 70 il conflitto andava ricercato a ogni costo. Uno dei giornali in voga era “Zone di conflitto”, per capirci… conflitto come soluzione dei problemi, attacco al potere e motore della rivoluzione. Ai giorni nostri qualche filone pedagogico rimanda all’utilità del conflitto e ne esalta gli aspetti positivi».
E lei che cosa dice?
«Io dico: “Il conflitto è”. Punto. Non è né bello né brutto, ma “è”. Succede che si litighi per affermare se stessi, perché si è in disaccordo, il pensiero è differente o semplicemente perché non si sopporta l’altro. La radice del conflitto è nella pancia, sono le emozioni il motore dei conflitti».
Se noi ragionassimo con la testa, non litigheremmo?
«Se partiamo solo dalla testa evitiamo i conflitti, non li riconosciamo. Ma neghiamo ogni spazio evolutivo e trasformativo, stiamo male perché neghiamo a noi stessi una parte importante. Che è movimento, vivacità e vita».
Quindi litigare si deve?
«Bisogna imparare a litigare bene. Quello che distrugge sono le conseguenze, non il litigio in sé. Il conflitto va trasformato in opportunità di scoperta di noi stessi e dell’altro, della dimensione della ricomposizione e del perdono».
Di quale perdono parliamo?
«Nella relazione di famiglia, nella coppia, come nel conflitto genitori-figli, il perdono è sapersi scusare, andare incontro all’altro. Il conflitto è di fatto l’interruzione della comunicazione. Litigo perché non sono più disponibile ad ascoltare l’altro». […]
Certi litigi sono tragedie.
«Si rischia di arrivare a una reazione violenta in due casi: quando non si sa gestire il conflitto e quando non ci si fa aiutare da un soggetto terzo. Il “terzo”, in posizione neutrale, può aiutare le parti prima ad ascoltarsi e poi a porsi in maniera equidistante per mettere in discussione la relazione».
Il conflitto nasce da un problema di relazione?
«Esatto. E se non si riconosce il terzo come autorevole, il rischio è che il conflitto sfoci in violenza, in bisogno di colpire l’altro e fargli del male».
Come va la sua relazione di coppia?
(Sorride) «Io litigo, come tutti, ma conoscendo il conflitto posso provare a viverlo con maggior distacco, con più tranquillità. Lasciando anche passare il tempo, non passivamente, ma come momento di riflessione su di sé, sui propri limiti, sulla conoscenza. L’amore nasce dalla conoscenza: più la coppia si conosce, meglio gestirà il conflitto».
C’entra qualcosa la fede in tutto questo?
«Domanda difficile. Credo che la fede sia ciò che mi permette di relativizzare le meschinità umane. La fede, che ci fa guardare lontano, ci aiuta a riconoscere ciò che è importante. Siamo dentro l’agone, lottiamo, ma siamo in grado di avere anche la giusta distanza rispetto alle cose. Sapendo che c’è altro, oltre al conflitto».
Andrea Antonuccio