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Report 2017 – «La vera Caritas nasce come risposta alla fede»

Mercoledì 6 giugno, nell’ex oratorio Santa Chiara di Alessandria, la Caritas diocesana e l’associazione Opere di Giustizia e Carità hanno presentato il “Report 2017”, che descrive le attività di sostegno messe in atto per tutti coloro che sono in difficoltà. Durante l’incontro sono intervenuti il Vescovo di Alessandria monsignor Guido Gallese, il direttore della Caritas alessandrina Giampaolo Mortara, il presidente dell’associazione Opere di Giustizia e Carità Roberto Massaro e il Delegato vescovile per la Carità monsignor Massimo Marasini. E proprio a lui abbiamo chiesto di commentare i dati del report.

Monsignor Marasini, ma è vero che il report annuale è una sua idea?
«Cinque anni fa, quando il vescovo ha voluto affidarmi la delega per la pastorale della carità, ho subito pensato che fosse importante mettere a conoscenza la gente di ciò che quotidianamente si faceva in Caritas al servizio degli indigenti. In tal senso l’espressione più semplice di un’attività non può prescindere da un bilancio. Anche se, quando si parla di attività caritativa, i numeri e le cifre non esauriscono la lettura degli eventi, ma sono un punto di partenza su cui si innestano tutti gli altri ragionamenti. Inoltre la trasparenza sull’utilizzo delle risorse economiche è un atto di rispetto verso i benefattori».

Sì, va bene. Ma cosa si può leggere tra le righe di un bilancio così “sui generis”?
«Penso che partendo dalle cifre finali, sia assolutamente rilevante come circa la metà dell’8xmille della diocesi sia destinata alla carità. Confermiamo ciò che la geniale campagna pubblicitaria dell’8xmille sta affermando sui principali canali di informazione».

E cioè?
«Da quelle preziose risorse, frutto della libera scelta dei cittadini, si rendono operativi qui da noi le mense, i dormitori, l’ambulatorio, il guardaroba, grazie al prezioso momento iniziale di un centro d’ascolto che presenta il volto accogliente della Chiesa verso le persone che vivono un bisogno, una necessità, un’inquietudine».

Che altro c’è, in questo bilancio?
«Dal mio punto di vista sottolineerei come il percorso documentato abbia cercato di valorizzare il volontariato in tutte le sue forme attraverso iniziative specifiche di formazione al servizio, di sinergia col mondo associativo e in sintonia con i percorsi parrocchiali. Poiché è evidente che certi servizi richiedono per competenza e tempo impiegato figure retribuite come dipendenti, si è cercato di fare in modo che l’impegno del lavoro diventasse anche un’occasione per una bella testimonianza cristiana».

Quindi bisogna essere cattolici romani per operare in Caritas?
«(Sorride) Già Benedetto XVI nella sua enciclica dal titolo “Deus Caritas Est” del 2005 aveva rimarcato che l’espressione dell’amore cristiano, pur esprimendo la componente imprescindibile di un largamente condiviso atteggiamento di solidarietà proprio di ogni essere umano, debba qualificarsi specificatamente come amore “nel nome di Gesù”, poiché non esiste bene più grande per la persona umana che quello di incontrare Gesù nella sua vita. “Toccare la carne del povero”, come ci insegna il nostro amato papa Francesco, richiede, prima ancora di una risposta economica a bisogni primari, l’ascolto, l’attenzione e l’accompagnamento nei confronti della persona che vive la drammatica esperienza della povertà. In tal senso, ritengo che un operatore Caritas, sia volontario che retribuito, debba vivere questo impegno come un momento significativo di un proprio cammino di fede».

Andrea Antonuccio
(ha collaborato Alessia Ghibaudi)

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