Addome gonfio e dolorante, associato a stipsi o diarrea. La sindrome dell’intestino irritabile è un fastidioso disturbo, che colpisce in Italia quasi tre milioni di persone, soprattutto donne, fra i 20 e i 40 anni. La presenza di nuovi integratori che comprendono ceppi di probiotici diversi, mirati a seconda della tipologia del disturbo (con costipazione o diarrea dominante) consentono ora non solo di agire sui sintomi, ma anche di intervenire sulla causa, ovvero le alterazioni del microbiota (la flora batterica), contrastando l’infiammazione della barriera intestinale che ne deriva. Studi recenti hanno inoltre confermato il collegamento di questa sindrome con uno squilibrio dell’asse intestino-cervello, riconoscendo quindi la centralità di una equilibrata composizione del microbiota per il mantenimento della salute fisico-psichica dell’intero organismo. Un documento di consenso intersocietario, presentato a Bologna durante l’ultimo Congresso annuale della SiNut (Società italiana di nutraceutica), ha poi analizzato i benefici clinici ed economici che possono derivare dall’uso di integratori attivi sulla disbiosi intestinale per il controllo dell’ipercolesterolemia e quindi per la riduzione del rischio cardiovascolare. “Non sempre per ridurre i valori medio-bassi del colesterolo nel sangue è necessario ricorrere ai farmaci e non sempre è sufficiente una variazione dello stile di vita”, ha spiegato il professor Arrigo Cicero, del Dipartimento di scienze mediche e chirurgiche dell’Università di Bologna e presidente SiNut. “Diversi studi clinici oggi dimostrano che singoli integratori, o associazioni di integratori, possono dimostrarsi particolarmente efficaci per il contenimento della colesterolemia. Un approccio scientifico interessante è rappresentato dalla possibilità di associare un integratore per la riduzione del colesterolo a uno che possa ridurre l’assorbimento del colesterolo a livello intestinale, come ad esempio il riso rosso fermentato con i probiotici”. Ad attestare la validità di questa formula è uno studio clinico dell’Università di Milano del 2017, che prova come l’associazione di nutraceutici con un probiotico porti alla riduzione del colesterolo cattivo quasi del 30%. “Nel caso in cui non sia utilizzabile come prima scelta la statina, può essere necessario usare un integratore nutraceutico – ha affermato il professor Alberto Martina del Dipartimento di scienze del farmaco e master prodotti nutraceutici dell’Università di Pavia. “Anche il caso di intolleranza ai farmaci può far preferire i nutraceutici. Con l’aumento dell’età gli effetti negativi delle statine possono farsi sentire maggiormente, quindi i nutraceutici possono rappresentare una valida alternativa, o essere somministrati a supporto del farmaco stesso, come supplementazione”.
Elena Correggia