Care lettrici, cari lettori,
siamo rimasti tutti con il fiato sospeso per la vicenda dei ragazzini imprigionati dentro a una grotta in Thailandia, insieme con il loro allenatore. I “Navy Seals” thailandesi, protagonisti di un’operazione di salvataggio che ha coinvolto aiuti e “aiutanti” da diversi Paesi del mondo, sui loro profili Facebook e Twitter hanno scritto: “Non sappiamo se è stata scienza o un miracolo: ma sono tutti fuori!”. Scienza, o un miracolo. Ho provato a immedesimarmi con i genitori di quei ragazzi, immaginando mio figlio in quelle condizioni per ben 17 giorni. Ho pensato anche all’allenatore che ha portato la sua squadra fino a quel punto. Che responsabilità si deve essere sentito cadere addosso, che peso per aver portato tutti quei ragazzini ad affrontare una “sfida” che si è rivelata come qualcosa di più serio, di più grave… Scienza, o un miracolo. Il miracolo, oltre a quello di un salvataggio perfetto, è stato ben più “profondo” di quelle grotte in Thailandia. Il mondo ha pregato, questo è stato il miracolo. Ognuno al proprio Dio, il mondo ha implorato la salvezza per quei ragazzini. Questa unità di intenti si è sentita chiaramente. Il mondo ha ancora un cuore buono: un cuore irriducibile, che pur “incatramato” dalle meschinità della vita di tutti i giorni, si è risvegliato di fronte a un fatto così eclatante. L’essere umano vuole il bene. E prega, chiede la liberazione: per dei ragazzini intrappolati, ma anche per sé, per liberarsi dal proprio limite. Il male stavolta non ha vinto, ed è stato questo a stupire il mondo. La preghiera, parafrasando Dostoevskij, salverà il mondo. Anzi, lo ha già salvato.
Andrea Antonuccio
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