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Storia e teologia – Paolo VI, i cattolici e il Sessantotto

Don Stefano Tessaglia, alessandrino, classe 1981 e prete dal 2006, è attualmente cappellano presso l’ospedale civile, l’infantile e il Borsalino. Oltre a essere docente di storia della Chiesa è anche giornalista e collaboratore stabile del nostro settimanale diocesano da decenni. Il mese scorso è uscito un suo saggio storico su Paolo VI che vogliamo approfondire.

Don Stefano, perché questo titolo “Chiesa contestata, Chiesa contestante”?
«Il titolo, che ha sicuramente un intento “pubblicitario”, vuole sottolineare il fatto che la Chiesa, come tutte le altre istituzioni, non soltanto venne contestata durante i movimenti del 1968, in quanto assimilata a tutte le altre istituzioni tradizionali, come la scuola, la famiglia, la fabbrica, ma vide anche al suo interno svilupparsi movimenti di contestazione portati avanti da cattolici, all’interno di istituzioni cattoliche, com’erano l’Università Cattolica di Milano o la miriade di gruppi parrocchiali e di gruppo spontanei. Per questo possiamo davvero parlare di un dissenso cattolico, di una contestazione portata avanti da cattolici. Per cui, appunto, una “Chiesa contestante”».

Il sottotitolo del libro è: Paolo VI, i cattolici e il Sessantotto.
«Una parte significativa del saggio è dedicata proprio alla figura di Paolo VI. Nei miei studi, guidato da don Maurilio Guasco, ho sviluppato un forte interesse per questo Pontefice spesso dimenticato, schiacciato tra due figure di forte impatto emotivo e mediatico come Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Inoltre Montini nell’opinione pubblica è spesso solo associato, e con un po’ di livore, alle sue chiusure, per esempio nei confronti della regolazione artificiale delle nascite, del divorzio o del celibato dei preti».

Si parla anche del Concilio Vaticano II nel volume…
«Non serve che sia io a dire che il Vaticano II è stato il punto di svolta per tutta la Chiesa. Nel 1968 il Concilio si era chiuso soltanto da tre anni e soprattutto in Italia notiamo una significativa sovrapposizione tra il rinnovamento avviato dall’assemblea conciliare e i movimenti di contestazione del ‘68. Come a dire che in quegli anni, proprio grazie al Vaticano II, i cattolici erano quelli che avevano già le “antenne” alzate, o comunque avevano una percezione del cambiamento che stava arrivando ed erano pronti ad accoglierlo, come qualcosa di positivo. Se ci pensiamo bene, dal Concilio la Chiesa era uscita rinnovata: nella liturgia, con l’adozione della lingua italiana al posto del latino; in una certa sua struttura, e anche nella percezione di un rinnovato ruolo dei laici. Tutto questo non poteva che sposarsi alla perfezione con l’ondata di rinnovamento successiva, quella della contestazione».

Nel terzo capitolo del libro una parte è intitolata: “Il contributo teorico: la teologia”, in cui si parla anche, tra le altre, della teologia della liberazione.
«Sicuramente anche il Sessantotto cattolico ha avuto le sue ispirazioni teoriche. È vero che i giovani non venivano immediatamente a contatto con la riflessione teologica o con gli studi specialistici. Tuttavia le nuove pubblicazioni, con le aperture della teologia nordeuropea e latinoamericana, influenzavano almeno i giovani sacerdoti, che spesso poi erano le guide, i leader, di questi gruppi. Significativa fu tutta la riflessione che si sviluppò in Francia già prima del Concilio con la cosiddetta “Nouvelle théologie”, che rivalutava il ruolo del lavoro umano, sviluppando una vera e propria “Teologia delle realtà terrene“. Poi certamente fu molto importante quella grande “Teologia di popolo”, come preferisce oggi chiamarla papa Francesco, che fu la “Teologia della liberazione”. Si tratta forse del più significativo frutto teologico del ‘900, sorto in America Latina come movimento di liberazione globale, che partendo da una matrice religiosa e spirituale puntava alla liberazione di tutti i popoli oppressi. Anche in Europa e in tutto il mondo i gruppi giovanili e di contestazione nel 1968 sostennero questo tipo di rivendicazioni, come a livello più generale sostennero tutte le aspirazioni di giustizia e di pace. Da ultimo, non possiamo dimenticare le manifestazioni per la fine della guerra in Vietnam».

E Paolo VI, in tutto questo?
«Montini fu senza dubbio preoccupato da certi movimenti di contestazione che sembravano voler spazzare via tutte le istituzioni, e quindi anche la Chiesa. Nelle sue parole noi possiamo proprio leggere come egli temesse, a un certo punto, per la sopravvivenza stessa della Chiesa, così come la tradizione gliel’aveva consegnata. D’altro canto, però, in lui conviveva un altrettanto forte sentimento di apertura, di ricerca a ogni costo della positività che poteva esserci in ogni movimento contemporaneo, anche del più duramente contestatore. In Paolo VI troviamo così, in una continua oscillazione e secondo il suo carattere complesso, parole di angoscia e di preoccupazione, insieme con sentimenti di grande fiducia nell’uomo e nelle sue capacità. Questo è davvero il suo grande spirito».

Giovanni XXIII, subito dopo la sua elezione, sorprese la Chiesa e il mondo indicendo il Concilio Vaticano II. Che “sorpresa” è stata la figura di Paolo VI?
«Probabilmente non è stato una sorpresa. Sebbene una certa parte della curia romana da molti anni lo avesse allontanato e gli fosse ostile, Montini, che era l’arcivescovo di Milano, godeva della grande stima dell’episcopato mondiale. E dunque fu ritenuto dai cardinali quella guida sicura, alcuni storici lo chiamarono a regione il “timoniere”, adatta a portare a termine, con il suo stile attento, quel Concilio che Giovanni XXIII aveva lanciato, come una bomba, nella Chiesa. La sorpresa può esserci per noi oggi, se con un po’ di obiettività ci mettiamo a fare quello che papa Francesco ha invitato a fare: rileggere i suoi testi, le sue omelie, le sue catechesi. Non potremo che cogliere in Paolo VI un uomo sincero, davvero appassionato del mondo e degli uomini, ai quali si rivolgeva sempre con affetto, stima e grande, grande partecipazione. Un uomo davvero moderno, molto più contemporaneo a noi di quanto pensiamo».

Andrea Antonuccio

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