LA TESTA E LA PANCIA
Ahi serva Italia, d’invidia ostello!
Enzo Ferrari, un signore che se ne intendeva molto non solo di motori ma anche di uomini, forse perché molto aveva vissuto e molto aveva sofferto, e poi perché era dotato di notevole intelletto, un giorno disse che «in Italia pochi sono inclini a riconoscere le tue qualità se non dai loro modo d’intravvedere qualche tuo difetto»: un ragionamento simile, sempre di straordinaria attualità, può calzare a pennello per la vicenda di Max Allegri, pluridecorato allenatore della Juventus dopo avere vinto uno Scudetto con il Milan, già in tempi di vacche magre per tale ultima società sia pur, all’epoca, ancora berlusconiana. Già, perché, dopo cinque Scudetti consecutivi sotto un’unica guida tecnica (record assoluto nella storia del calcio italiano) e quattro Coppe Italia una dietro altra (altro record pressoché imbattibile) il livornese si è anche regalato due finali di Champions League, sfortunatamente perse.
Eppure vi è chi lo critica, sia in casa Juventus che all’esterno, come tal Daniele – detto Lele (nella foto in basso) – Adani, già giocatore di modesto livello (per la massima Serie del calcio italiano) e, con alle spalle, solo un’esperienza da vice allenatore del Vicenza nell’anno 2011 che si è permesso di apostrofare il mitico Max con un bel «non capisci niente», perfetto esempio di italiota capacità di giudizio senza averne assolutamente i titoli, né i meriti. Eppure, a voler guardare il pelo nell’uovo con l’attento occhio del calciofilo, qualcosa a Massimiliano Allegri si può effettivamente contestare, già, perché, a fronte di un team di campioni quasi senza eguali non è riuscito a dare alla propria squadra un gioco brillante come quello di altre formazioni forse perché, alla fin dei conti, più che allenatore, si è messo a fare il selezionatore.
Ed ecco che allora molti dei sessanta milioni di commissari tecnici che popolano il territorio peninsulare, potrebbero trovare nuova linfa alle proprie argomentazioni affermando che, con un simile organico, avere un bel gioco sarebbe stato quantomeno d’obbligo e probabilmente Arrigo Sacchi avrebbe fatto a loro entusiastico coro. Avremo modo in altri momenti di soffermarci sul rilievo e del ruolo dell’allenatore, piuttosto che non del selezionatore, specie quando si ha a che fare con campioni dell’indiscusso talento ma oggi può bastare una sola affermazione: hanno certo ragione i predetti laddove si dovesse ammettere che cinque Scudetti e quattro Coppe Italia consecutive, oltre a due finali di Champions, sono veramente un magro bottino per una squadra come la Juventus di questi anni. Forse, quantomeno una comparsata nel Campionato marziano sarebbe stata d’obbligo…
Silvio Bolloli