Tempo di Pasqua
Il Vangelo di Luca ci dice che Gesù, il giorno di Pasqua, apparve a due discepoli sconsolati che facevano ritorno a Emmaus, delusi dalla morte del Maestro. Lungo la via, senza che potessero riconoscerlo, spiega loro ciò che nelle Scritture si riferiva a lui. Dopo averlo finalmente riconosciuto, riconoscono che i loro cuori si erano illuminati mentre Gesù spiegava loro le Scritture e, pieni di gioia tornano a Gerusalemme dagli apostoli per raccontare l’accaduto; mentre stanno parlando ecco che improvvisamente Gesù appare loro esortandoli a credere in lui e a non avere paura. È a questo punto che Gesù compie qualcosa di assolutamente nuovo: «aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture» (Luca, cap. 24, 45).
Far comprendere le Scritture, da parte di Gesù, costituisce una particolare caratteristica di questo vangelo; ma cosa vuol dire Luca con queste parole? Gesù che cosa ha fatto realmente ai suoi discepoli? Più che un miracolo inaspettato sembra essere un processo che si distende nel tempo: come abbiamo visto, comincia sulla via di Emmaus e arriva fino all’ascensione.
San Luca, nel Vangelo, sua prima opera, racchiude nell’unico giorno di Pasqua le apparizioni del Risorto ma negli Atti degli Apostoli ci rivela invece che Gesù, prima dell’ascensione, apparve ai suoi per quaranta giorni parlando loro del Regno di Dio. Mi piace pensare che in questo tempo il Signore ha veramente aperto la mente e il cuore ai suoi discepoli per comprendere il disegno d’amore di Dio.
Gesù non dona una capacità conoscitiva al di fuori della norma, una “super intelligenza” ma piuttosto il dono di una sapienza che viene dall’alto e che permette di comprendere, in modo esperienziale, come Dio ci abbia amato fino a dare il suo Figlio, morto in croce per la nostra salvezza. Se non possiamo parlare del dono di una conoscenza scientifica, occorre considerare quello di una percezione intuitiva del mistero; come di un lampo che squarcia il buio e che permette di vedere, anche solo per un attimo, il mistero dell’amore di Dio. Quel lampo però è in grado di indicare la via su cui camminare.
Certamente tutti possono leggere le Scritture ma comprenderle con il cuore significa saper ascoltare che in esse mi “parla il Signore”, qui e ora; esse hanno qualcosa da dire alla mia vita in questo tempo! Ecco perché, il Vangelo, pur essendo sempre lo stesso da duemila anni, ci dice sempre qualcosa di nuovo. Le Scritture squarciano la realtà e svelano un mistero di cui facciamo parte; esse ci invitano ad entrarvi, infatti ce ne schiudono l’accesso!
Le Scritture non sono altro che la Parola di Dio e la Chiesa chiama questo dono: Rivelazione. In effetti Dio si rivela al suo popolo mediante la Parola e la Rivelazione ha il suo culmine in Gesù, Parola fatta carne e nel dono dello Spirito Santo. Accogliere la Rivelazione non significa imparare qualcosa ma fare esperienza dell’amore di Dio che salva: un amore fatto carne in Cristo, un amore che è sacrificio sulla croce e al tempo stesso un amore rigenerativo nella pentecoste! Nell’amore di sacrificio il sangue lava i peccati e nell’amore pentecostale ci viene donata alla vita nuova nello Spirito Santo: ed è il mistero che viviamo nel battesimo.
Penso che il tempo pasquale che stiamo vivendo sia anche per noi, come per gli apostoli, il tempo della Grazia, un tempo nel quale lo Spirito del Risorto ci guida alla verità tutta intera, che ci fa ricordare tutto quello che Gesù ha detto e ha vissuto per farcene penetrare più profondamente il senso. Allora cosa significa che Gesù è morto per noi? Cosa significano per noi le parole dell’apostolo Paolo che afferma: «(Gesù) è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione»? (Rm. 4,25)
La morte e la risurrezione di Gesù non sono un semplice ricordo di cui facciamo memoria in modo più o meno vivo ogni anno; esse hanno in sé una potenza di rigenerazione che non conosciamo ancora e che solo lo Spirito può aiutarci a comprendere. Sempre San Paolo dice: «Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato» (1Cor2, 12). Solo lo Spirito ce ne svela la portata e lo fa sia personalmente che nell’assemblea per mezzo della liturgia e dei sacramenti.
Se non conosciamo il dono che Dio ci ha fatto rischiamo di sprecarlo o di utilizzarlo in modo limitato e parziale. È come chi riceve in dono un quadro molto prezioso e non sapendolo apprezzare lo ritira in soffitta; purtroppo è così che finiscono molte volte i doni di Dio… e quando non vengono apprezzati o peggio disconosciuti, li perdiamo. A questo riguardo pensiamo ai sacramenti che ci sono stati dati! In fondo accade come nella parabola del seme: la semente che cade lungo la strada sono coloro che non comprendono la Parola e viene il Maligno e la porta via (Lc 8,12). Lo Spirito opera affinché i doni di Dio siano conosciuti, compresi, vissuti, perché: non di solo pane vive l’uomo…
Questa opera di Gesù continua ancora oggi per mezzo della Chiesa: essa ha ricevuto la missione di proseguirne l’opera e con Lui continua ad aprire agli uomini la mente all’intelligenza delle Scritture; ecco allora che siamo chiamati a vivere questo tempo con una particolare docilità all’azione dello Spirito perché desidera aprire sempre più profondamente il suo mistero d’amore. Gesù però ha potuto fare questo, solo dopo la sua risurrezione, ciò solo dopo aver offerto tutto sé stesso, come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio. Anche il ministero della Chiesa e la nostra testimonianza quindi, sarà tanto più efficace quanto più sapremo offrire noi stessi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio.
Padre Giorgio Noè