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L’intervista al Questore di Alessandria

Questura di Alessandria

Sergio Molino è nato a Torino nel 1963, coniugato, laureato in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Torino. Funzionario di Polizia dal 1989, dopo la frequenza del corso di formazione per vicecommissari della Polizia di Stato, nel mese di agosto 1990 è stato assegnato alla Squadra mobile della Questura di Torino, ricoprendo nel corso degli anni incarichi di dirigente delle varie sezioni investigative. Nel mese di febbraio 2003 consegue la promozione per merito straordinario alla qualifica di primo dirigente, per aver tratto in arresto, in flagranza, un pericoloso rapinatore seriale armato di pistola. Nello stesso anno viene nominato dirigente della Squadra mobile di Torino, incarico che mantiene fino al 2012. Dal 2012 al 2014 assume la direzione del Centro D.I.A. di Torino e dopo una breve esperienza quale dirigente del Commissariato Dora Vanchiglia di Torino, nel 2015 viene nominato vicario del Questore di Torino. Il 5 aprile del 2018 ottiene la promozione alla qualifica di dirigente superiore della Polizia di Stato, e dal 2 agosto dello stesso anno assume l’incarico di Questore della provincia di Vercelli. Dal 1° febbraio 2021 è Questore della Provincia di Alessandria.

Dottor Molino, partiamo dalle “spaccate” dei negozi avvenute recentemente, e negli scorsi mesi, in città. C’è stato un arresto.

«Le indagini si sono concluse in concomitanza con l’escalation di questi episodi, ma erano iniziate già nel mese di marzo e aprile, quando c’era stata la prima fase delle “spaccate”. Avevamo un’idea di chi potesse essere l’autore di questi episodi, però dovevamo acquisire tutte le prove necessarie per attribuirgli il maggior numero possibile di colpi. C’erano delle immagini, sia delle telecamere cittadine sia di alcuni esercizi commerciali, c’erano delle impronte e delle tracce di Dna da elaborare e analizzare. Insieme alla Procura della Repubblica abbiamo dovuto costruire un quadro accusatorio che reggesse anche nelle altre fasi dell’eventuale giudizio e del dibattimento. Terminate le prime spaccate, il soggetto in questione si allontana da Alessandria, e infatti c’è un’interruzione di questi episodi. Si rifugia prima a Napoli, poi a Milano e Novi Ligure: cerca di far perdere le proprie tracce, perché si sente in qualche modo braccato. Tranquillizzatosi, torna in città e riprendono gli episodi. Dopo un abile lavoro di ricostruzione per acquisizione delle prove, una volta che il quadro era consistente, abbiamo mandato una nostra informativa alla Procura. Di conseguenza è stata inviata una seconda richiesta di ordinanza al Gip, che è stata emessa in tempi brevi».

Il presunto autore delle “spaccate” ha agito da solo?

«Per quello che sappiamo oggi sì, ha agito da solo».

Questi gesti quanto sono dovuti alle emergenze economiche e sociali scaturite dalla pandemia?

«Sicuramente la pandemia ha enfatizzato diverse situazioni. Ma, in questo caso, parliamo di un soggetto che ha problemi di tossicodipendenza e disoccupazione. E per entrambe le ragioni cercava di procurarsi del denaro».

In questi due anni di Covid, come avete visto cambiare la città?

«Tutte le città si erano abituate a una sorta di “pace” nelle ore diurne e notturne. Adesso la vita sta tornando alla normalità, con le ovvie conseguenze. In primis, più lavoro per noi, perché nel periodo di lockdown eravamo impiegati e impegnati per cercare di far rispettare le normative previste. Poi, con le riaperture, anche la Polizia ha dovuto rioccuparsi di tutto quello che accadeva prima delle misure restrittive: furti in appartamento, scippi e truffe. Nel periodo di chiusura sono aumentate le denunce per violenza domestica e stalking, un trend nazionale rispecchiato anche ad Alessandria. In seguito sono aumentate le liti all’interno dei condomini, ma anche per strada. La nuova possibilità di vivere la città, come si faceva prima, porta una serie di problematiche che vanno dai reati più gravi a quelli meno gravi».

A risentirne sono anche i giovani. È sufficiente parlare ai ragazzi di educazione civica a scuola?

«No, non basta, senza alcun dubbio. Noi facciamo la nostra parte, cercando di andare nelle scuole e incontrare i ragazzi. Ma è un problema che riguarda diversi attori. Su tutti, la scuola e la famiglia. Ma penso anche alla mancanza degli oratori come punto di aggregazione: per le generazioni precedenti, c’erano diverse iniziative che tenevano i ragazzi lontani da situazioni e dinamiche che sfociano in episodi di violenza, danneggiamento e vandalismo. Si ha quasi l’impressione che l’unico momento aggregativo, non per tutti fortunatamente, sia proprio quello di vandalizzare la città, andarsi a ubriacare nei locali e partecipare a risse. Questo è un problema che riguarda la società, sotto diversi punti di vista».

Sabato 24 luglio, in piazza della Libertà ad Alessandria, hanno manifestato i No-vax. Come in quasi tutte le città italiane, questa manifestazione non era autorizzata…

«Sì, una manifestazione non autorizzata e nata sui social. Di questi movimenti spontanei è difficile individuare l’organizzatore, che solitamente serve per “canalizzarli” in un certo ambito, per avere dei punti di riferimento precisi: l’orario di inizio, quello di fine, il numero dei partecipanti. Sulla base di queste informazioni le Questure organizzano i servizi di ordine pubblico, dimensionandoli a quella che è la realtà della manifestazione. Al momento sono manifestazioni pacifiche, in cui non serve intervenire. Ci saranno delle manifestazioni nazionali, in cui è necessaria l’autorizzazione. Per ora ad Alessandria nessuno ne ha fatto richiesta».

Luglio 2001-Luglio 2021. Sono passati 20 anni dal G8 di Genova. Lei dov’era?

«Io durante il G8 ero a Torino, come vicedirigente della Squadra mobile. Non me ne occupai direttamente…».

Cosa direbbe a un giovane, non ancora nato nel 2001, che oggi guarda i video degli scontri di quei giorni?

«La Polizia sicuramente è cambiata, gli uomini sono più preparati ad affrontare manifestazioni di questo tipo. Il G8 è stata una manifestazione mai vista fino a quel momento, quantomeno in Italia. Posso dire che si è fatto ogni sforzo, da quel giorno, per cercare di disciplinare i nostri interventi, con una maggiore preparazione e capacità di resistere anche a eventuali provocazioni. Penso anche ai molti servizi di ordine pubblico che si continuano a svolgere in Val di Susa per la Tav, è lampante che i nostri reparti sono più abituati ed educati a evitare il contatto fisico con i manifestanti. Sicuramente sono stati fatti dei passi avanti non indifferenti da quell’evento».

Secondo i dati del 2021 di Eurispes (importante istituto di ricerca italiano) gli intervistati esprimono un«grande apprezzamento per la Polizia di Stato (69,2%)». Sono cifre importanti. Ma rispecchiano davvero la realtà? Oppure lei avverte una frattura?

«La frattura l’avvertiamo nelle manifestazioni di piazza, quando rappresentiamo il bersaglio da colpire. Siamo noi il nemico di molti manifestanti. Questo si verifica anche durante le manifestazioni sportive: le due tifoserie anziché andare allo scontro, e dico anche per fortuna, cercano il contatto con le forze dell’ordine. E questo è un fenomeno trasversale che va da destra a sinistra. Rappresentiamo lo Stato, siamo il primo obiettivo da colpire. Senza parlare di manifestazioni, lo abbiamo visto anche in occasione di interventi ad Alessandria, ma anche in molte altre città con i servizi anti-movida. Quando lo Stato viene identificato come organo repressivo, che toglie la libertà, veniamo presi come bersaglio».

Come è possibile, allora, spiegare ai cittadini il vostro lavoro?

«I cittadini devono sapere che la Polizia è sempre al loro fianco, e il compito nostro è solo quello di far rispettare le leggi. A me sembra che la Polizia la si possa osservare da due prospettive…».

Ovvero?

«Beh, da un lato c’è il manifestante che in piazza cerca di fronteggiare dieci uomini del Reparto mobile, lanciando sassi o bottiglie, pensando che il poliziotto è cattivo e deve essere contrastato. Dall’altro lato, magari lo stesso manifestante che viene derubato in casa chiede l’intervento della Polizia. Si affida a noi per ottenere giustizia ed essere tutelato».

Nella foto, don Augusto Piccoli, cappellano della Questura di Alessandria

E da noi i cittadini li sentite “vicini”?

«Sì, ci sono state delle belle risposte a diversi nostri interventi. I cittadini devono sentirsi comunque tutelati: noi non ci dimentichiamo di nulla e cerchiamo di affrontare qualsiasi tipo di problema con il massimo impegno. Non esiste una città tranquilla, quindi il nostro impegno è quotidiano per cercare di aumentare il senso di sicurezza di tutti».

Cosa vuol dire per lei fare questo mestiere?

«È il mestiere che volevo fare da piccolo. Ho sempre sognato di fare l’investigatore, e sono riuscito a svolgere questa attività nella Squadra mobile di Torino, la mia città, per 22 anni, di cui nove da dirigente. Poi il lavoro cambia, e sono stato chiamato a ricoprire il ruolo di Questore per mettere a frutto le esperienze maturate nel corso degli anni di carriera».

Cosa pensa che dovrebbe cambiare in meglio nei prossimi anni ad Alessandria?

«Sento la necessità, non solo ad Alessandria, di un maggiore senso civico da parte di tutti. Rispetto del prossimo, della città, delle leggi, del nostro operato. Ma penso anche all’uso indiscriminato dei social: una notizia, come un telefono senza fili, viene amplificata da un semplice post. Così anche un piccolo episodio viene ingigantito, e strumentalizzato, e tutti hanno una percezione diversa di quello che avviene all’interno di una città. E tutto questo non fa bene a nessuno. Dobbiamo tornare ad avere un maggiore senso civico. Questo faciliterebbe davvero la vita di tutti».

Alessandro Venticinque

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