Speciale Settimana sociale/2: parla Marlène Coppola
Marlène Coppola, 28 anni, è responsabile diocesana del Settore Giovani di Azione Cattolica, che ci racconta: «Ho ricevuto l’invito da parte della Diocesi e sono stata convocata sia come responsabile di Ac, ma anche e soprattutto come lavoratrice, donna e giovane».
Marlène, cosa ti ha colpito di più alle Settimane Sociali di Taranto?
«Provo a rispondere con tre parole che hanno caratterizzato i giorni di Taranto. Sicuramente, la prima è fraternità: abbiamo avuto modo di ascoltare diverse testimonianze di diverse realtà, virtuose e meno virtuose, vicine e lontane dal punto di vista territoriale. Ma, queste realtà, anche se lontane, si sono riscoperte vicine come contesto, perché accomunate dalla troppa poca cura del Creato. Seconda parola è obiettivo comune, insieme nella volontà di voler cambiare rotta. Terza, le relazioni che abbiamo instaurato, quindi il confronto con altri ragazzi, presenti come delegati di associazioni, movimenti e diverse realtà. E poi, in tutto questo, il clima giovanile, che ha caratterizzato tutti quei giorni».
Il Papa nel suo messaggio, riferendosi a gruppi, associazioni, parrocchie e diocesi, scrive: «Quanto sarebbe bello che nei territori maggiormente segnati dall’inquinamento e dal degrado i cristiani non si limitino a denunciare, ma assumano la responsabilità di creare reti di riscatto». Una sfida non da poco…
«Le difficoltà sono evidenti, però il Papa ci chiede di essere protagonisti, in qualche modo, con proposte concrete. Ci sarà bisogno di un momento di riflessione, presa di coscienza di quella che è la realtà della nostra comunità, di quello che ci circonda. E da lì, ripartire, per prenderci cura veramente del Creato, con uno sguardo diverso. Il Pontefice ci invita a non restare ai margini del progetto, ma essere noi stessi protagonisti. Le difficoltà ci sono, ma da lì dobbiamo ripartire».
Come porterai questo evento all’Azione Cattolica?
«Probabilmente ci sarà un momento di confronto. Ero una delegata di Ac e ci tengo che questa esperienza venga divulgata e condivisa con tutti i membri dell’associazione. Questo è un aspetto che accomuna tutti, la soluzione quindi è sempre quella di divulgare e parlare. La cosa bella è che ho partecipato come Ac, ma una volta a Taranto, non c’erano divisioni. Quindi il confronto con altre realtà era continuo, non si lavorava divisi in comparti stagni, ma uniti per un bene comune. L’Ac farà il suo pezzo, dando un contributo, con il suo stile di vita e con le attività che già svolgiamo».
Perché i giovani hanno preso a cuore questo cambiamento?
«Questo vento di cambiamento è partito dai giovani perché le buone pratiche devono essere acquisite, come abitudini, sempre prima, per poi essere tramandate. I giovani si sono sentiti chiamati a essere punto di riferimento per quelli che verranno dopo, e a spronare, con l’energia che ci contraddistingue, per le generazioni avanzate. Siamo la “categoria di mezzo”, e ci è chiesto questo».
E nella nostra Diocesi?
«Dovremmo pensare a come attivarci, in modo comune, tra tutti i giovani a livello diocesano. Per proporre dei gesti concreti, cercando di osservare il contesto in cui viviamo. Oltre a uno sguardo collettivo, basta poco nel nostro piccolo: determinate abitudini, della vita quotidiana, che possono davvero cambiare tanto. A Taranto mi sono segnata questa frase: “Per quanti sforzi possiamo fare per programmare e prevedere il futuro, poi questo ci stupirà sempre”. Ecco, allora iniziamo a cambiare nel nostro piccolo, e lasciamoci stupire dal futuro».
Alessandro Venticinque