Al via le novità per le aree pastorali
Giovedì 12 gennaio si è tenuta la riunione tra i moderatori delle Unità pastorali con il Vescovo e il vicario generale, a cui è seguito il primo incontro con i nuovi responsabili delle aree e degli uffici pastorali. Abbiamo chiesto a don Giuseppe Bodrati (nella foto qui sotto), che in qualità di moderatore della curia ha il compito di seguire e accompagnare questo nuovo cammino, di spiegarci la situazione.
Don Beppe, ci racconti com’è andata?
«Intanto vorrei rivolgere un fraterno e cordiale ringraziamento a quanti hanno seguito le attività pastorali negli ultimi anni, segnati dalla oggettiva difficoltà della pandemia. La nuova struttura delle Unità pastorali ha creato l’esigenza di un forte coordinamento, anche attraverso l’incontro di giovedì con i moderatori. I singoli moderatori, dopo il saluto iniziale del Vescovo, hanno esposto la situazione delle singole Unità, relativamente all’accoglienza da parte dei confratelli di questa nuova modalità, le criticità e le prospettive immediate per superarle. E al termine di questa riunione, che si è svolta in un clima confidenziale, senza inutili formalità, abbiamo deciso di intensificare gli incontri».
Ancora incontri? Perché?
«Se la prospettiva immediata è vivere il Vangelo di Gesù e, come dicevamo nella scorsa intervista (su Voce del 12 gennaio, ndr), il volersi bene non è scontato, sono convinto che una maggiore frequentazione reciproca aiuti a trovare la necessaria e auspicabile confidenza nella condivisione di un cammino positivo e propositivo. È evidente che siamo caratteri diversi e abbiamo storie diverse… ma se non facciamo “sinodo” tra di noi, il rischio è che le idee restino tali».
Torniamo alle aree pastorali: che cosa vi siete detti?
«Intanto è stata l’occasione per trovarci e conoscerci. Il Vescovo ha riflettuto sulla progettualità di questo cammino. Nel breve dibattito che è seguito è stata evidenziata la necessità di una metodologia che porti a una efficacia, e non diventi un semplice chiacchierare sulle cose da fare. Con i responsabili si è poi parlato del prossimo consiglio pastorale diocesano del 24 gennaio. Il Vescovo ha chiesto ad alcuni di essere, spontaneamente, animatori di un “laboratorio” nel quale riflettere sul tema, secondo me rilevantissimo, della pastorale nel Vangelo: che cosa vuol dire agire pastoralmente per Gesù. Anche qui faccio la considerazione di prima: dobbiamo vederci di più e condividere le proposte e il cammino che la Diocesi è chiamata a vivere insieme».
Quindi tutto ok…
«Tutto ok direi di no (sorride). È un primo passo che, come dicono i saggi, non sai dove ti porta, ma ti toglie da dove sei. La Provvidenza certo ci aiuterà: sta a noi abbandonare eccessivi personalismi, o modelli di Chiesa che ci piacciono tanto ma non sempre sono efficaci nel mondo di oggi. Gesù è sempre lo stesso, ieri oggi e sempre. Ma noi no».
Che cosa significa fare pastorale oggi nella Chiesa?
«Significa trovare strumenti concreti perché il Vangelo di Gesù Cristo diventi efficace nella vita delle comunità. La bellezza della nostra fede non deve ammalarsi di frenesie, anche solo ipotizzate. È molto bello il cammino che la Pastorale giovanile ha attivato in preparazione della Giornata mondiale della Gioventù di Lisbona. Ma è importante che non resti un evento isolato. Personalmente vorrei che, pur con tutte le difficoltà, i temi della pastorale fossero anche al centro della vita delle Unità pastorali. Faccio un esempio: mentre tutti si preoccupano della iniziazione cristiana, cioè del catechismo, nelle Unità pastorali occorrerebbe mettere a tema anche la scuola, la famiglia, i giovani, gli anziani… È necessaria una progettualità perché i singoli temi della pastorale possano diventare questioni di forte attenzione nelle parrocchie».
Qual è il rapporto tra uffici pastorali e Unità pastorali? Come possono collaborare? E soprattutto: chi comanda?
«Per usare un linguaggio desueto, l’ufficio pastorale dovrebbe leggere l’esistente: là dove ci sono già attività riguardanti quell’ambito, dovrebbe valorizzarle, e dove non ci sono sollecitarne l’avvio. Su questo è indispensabile l’azione dei sacerdoti, che attraverso la conoscenza delle persone possono individuare coloro da coinvolgere nelle attività. Faccio un parallelo: ci fu un periodo di persecuzioni nella Chiesa nel quale molti cristiani preferirono morire piuttosto che rinunciare all’essenziale della loro fede, l’eucaristia domenicale. Era la bellezza e l’entusiasmo della comunione che li portava ad annunciare al mondo la bellezza della loro vita in Cristo. Questa dovrebbe essere la realtà della nostra fede. Ma da noi invece si esce molto spesso dalle assemblee domenicali e dai volti non traspare la gioia dell’incontro».
Quindi la pastorale nasce dalla gioia dell’incontro?
«Certo. Chi mi spinge ad agire nel mondo? L’aver trovato un senso forte, un avvenimento che cambia la mia vita. Sono consapevole che questo modo di esprimersi può sembrare retorico. Ma se non riscopriamo il fondamento di ciò che siamo, e lo viviamo, rischiamo di essere aria fritta».
Andrea Antonuccio