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Pietà e preghiera

Dramma a Cutro (KR). Un barcone di migranti si spezza sulla costa: 64 morti in mare

«Una profonda tristezza e un acuto dolore attraversano il Paese per l’ennesimo naufragio avvenuto sulle nostre coste. Le vittime sono di tutti e le sentiamo nostre. Questa ennesima tragedia, nella sua drammaticità, ricorda che la questione dei migranti e dei rifugiati va affrontata con responsabilità e umanità. Non possiamo ripetere parole che abbiamo sprecato in eventi tragici simili a questo, che hanno reso il Mediterraneo in venti anni un grande cimitero». Con queste parole il presidente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi, ha ricordato i profughi morti domenica 26 febbraio sulle coste ioniche, in provincia di Crotone. Ma il presidente della Cei è tornato su questo argomento anche nel corso del dibattito organizzato dal Consiglio italiano dei Rifugiati (Cir), martedì 28 febbraio a Roma, dal titolo “Fratelli Tutti – Migrazioni più umane”. «Il grande problema è che quelli che sono affogati avevano diritto, diritto ad essere accolti, scappavano da una guerra, la maggior parte di loro probabilmente erano afgani, e quindi bisogna cercare che i rifugiati siano trattati come tali e quindi hanno il diritto di essere esaminati. Se noi neghiamo di fatto questo diritto, tradiamo tutta la consapevolezza che proveniva dalla Seconda guerra mondiale» ha dichiarato Zuppi.

La cronaca
Alle prime ore di domenica 26 febbraio una imbarcazione, partita da Izmir (Turchia), si è spezzata in due a causa del mare mosso a pochi metri dalla riva del litorale di “Steccato” di Cutro, a Crotone. Nel barcone vi erano bambini, donne e uomini provenienti per lo più da Iran, Afghanistan, Pakistan e Siria. Il bilancio è drammatico: soltanto 79 i migranti sopravvissuti, mentre i morti sono almeno 64. E tra loro tanti bambini: 14 sono quelli accertati, tra cui due gemellini di pochi anni e un piccolo di pochi mesi. Le vittime minorenni hanno un’età compresa tra i 14 anni e gli 8 mesi, ma i numeri sono destinati a crescere: sono molte le vittime che il mare non ha ancora restituito. Tutto era cominciato qualche ora prima. L’imbarcazione era stata avvistata, nella serata di sabato, da un aereo del servizio Frontex. Dal porto di Crotone sono partite due unità della Guardia di finanza, ma le pessime condizioni del mare hanno obbligato gli equipaggi a rientrare. Domenica mattina, verso le 4, la Sala operativa del Gruppo aeronavale della Guardia di finanza di Vibo Valentia ha ricevuto una telefonata internazionale, proveniente probabilmente dalla stessa imbarcazione. Chi ha fatto la telefonata, a causa di un inglese stentato, non ha fornito indicazioni utili, ma gli operatori hanno dato comunque l’allarme: avevano capito che stava accadendo qualcosa di grave. Giunti sul posto, i soccorritori si sono trovati davanti uno scenario di morte, con la tragedia che si era già consumata. Dalle prime testimonianze si è appreso che pochi a bordo sapessero nuotare. E con la corrente del mare non ce l’hanno fatta. A salvarsi sono stati soprattutto gli uomini. Le ricerche sono continuate e stanno andando avanti da giorni per ritrovare i corpi delle vittime in mare. Intanto, la Procura della Repubblica ha avviato un’inchiesta per ricostruire la dinamica della tragedia, ipotizzando i reati di omicidio e disastro colposi e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Sono stati anche eseguiti tre fermi a carico di un altro degli scafisti: si tratta di un cittadino turco e di due pachistani, uno dei quali minorenne.

Il Papa all’Angelus
«Stamattina ho saputo con dolore del naufragio avvenuto sulla costa calabrese, presso Crotone. Già sono stati recuperati quaranta morti, tra cui molti bambini. Prego per ognuno di loro, per i dispersi e per gli altri migranti sopravvissuti. Ringrazio quanti hanno portato soccorso e coloro che stanno dando accoglienza. La Madonna sostenga questi nostri fratelli e sorelle» le parole di papa Francesco all’Angelus di domenica 26 febbraio, in piazza San Pietro.

Don Rosario e la sua benedizione
«Erano davanti a me, i miei fratelli. Morti… Non ho visto il loro volto, Quando sono arrivato erano tutti nei bustoni bianchi. Mi sono detto: qui ci sono esseri umani. C’era una bimba di 9 anni in una busta, un altro piccoletto sempre in una busta… Avevano i volti nostri, dei nostri bambini, dei bambini che frequentano il catechismo in parrocchia. Sono esseri umani, come me, come te!». Così, a Vatican News, don Rosario Morrone, parroco di Botricello, frazione del crotonese a pochi chilometri dal luogo del drammatico naufragio sulle coste calabresi. Il sacerdote è stato uno dei primi a recarsi sulla spiaggia dove il mare ha restituito i corpi senza vita dei migranti. «Mi sono piegato su di loro e li ho benedetti. All’inizio ho pregato e ho detto al Signore di accoglierli. C’era un vento forte, per noi cristiani il vento è simbolo dello Spirito Santo… E ho pensato: ma Lui è l’Altissimo, è il Dio dell’amore, c’è bisogno che glielo dica io di accoglierli? Lo avrà già fatto. Allora mi sono detto pure che forse bisogna cambiare preghiera, che devo chiedere al Signore di raccogliere il grido di aiuto dei bisognosi, degli ultimi, dei fragili, e che tutti noi, credenti e non, dovremmo metterci insieme e ragionare in un’altra maniera: che dobbiamo diventare umani!» ha aggiunto don Rosario.

La camera ardente
Mercoledì 1° marzo è stata aperta la camera ardente delle 64 vittime, al PalaMilone di Crotone. In visita anche monsignor Angelo Raffaele Panzetta, arcivescovo di Crotone-Santa Severina: «Questo momento è fatto di poche parole, questo è il momento della pietà. Un momento umanissimo dove, davanti al segno delle bare, davanti al segno della morte, ognuno di noi invoca il Signore, il Dio della vita, perché accolga questi nostri fratelli». Il presule ha poi proseguito: «Noi ci battiamo tutti il petto perché è chiaro che c’è una corresponsabilità e una responsabilità sociale in quello che è avvenuto e tutto dovrà essere considerato con attenzione. Però, ci vorrebbe anche, almeno in questo momento, che ci fosse una tregua dalle polemiche e si sperimentasse dentro di sé quella umanissima pietà per le persone che sono morte, per le famiglie straziate dal dolore». Monsignor Panzetta conclude sottolineando: «Che questo non sia tanto il momento della polemica, ma della pietà e della preghiera».

Alessandro Venticinque

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