Testimoni della fede
Breve compendio a puntate sulla vita e opere di San Bruno tratto dalla pubblicazione divulgativa curata da Gian Piero Pagano che sarà presentata a Solero il 7 luglio 2023.
L’ascesa alla cattedra dell’antico Episcopatus Signinus, diocesi suburbicaria di Roma, lo fece conoscere anche come Bruno di Segni. Il suo rapporto con il Papa si rinsaldò sempre più perché questi aveva trovato in lui un consigliere preparato e fedele, un combattente schierato dalla sua parte, ma soprattutto un sostenitore della Chiesa fondata da Cristo e non soggetta a qualsiasi potere terreno, né tantomeno collusa con interessi mondani.
Il giovane vescovo sostenne pienamente il Dictatus Papae emanato da Gregorio VII nel 1075 e al collega e amico Gualtiero di Lilla, ignaro che il Constitutum Costantini fosse un falso, spiega che il Sommo Pontefice, in quanto Vicario di Cristo, porta le insegne imperiali, corona e porpora, poiché Costantino trasferì le insegne e il potere al Beato Silvestro.
Bruno pagò molto cara la sua lealtà al papa contro l’invadenza nel governo della Chiesa da parte dell’imperatore, che nel frattempo aveva fatto eleggere papa l’arcivescovo di Ravenna Guiberto con il titolo di Clemente III e fatto imprigionare papa Gregorio con la sua corte a Castel Sant’Angelo.
All’inizio dell’estate del 1082, di ritorno da Roma, Bruno fu arrestato con i suoi chierici dagli sgherri del conte di Segni, Ainulfo e rinchiuso per ben tre mesi nella torre del suo castello, con l’accusa pretestuosa di illecita occupazione di una sua proprietà da parte della Curia; ne fa cenno egli stesso nel commentario a Isaia: “Quando pensavo di poter liberamente ritornare al nostro episcopato segnino, durante il viaggio fui catturato e imprigionato dagli stessi figli della nostra chiesa, per la misericordia di Dio fui liberato e ritornai a Roma”.
La tradizione, ma soprattutto la devozione del suo gregge spirituale attribuì la liberazione al “miracolo” della trasformazione in vino, per ben tre volte, dell’acqua che la fantesca del conte gli aveva portato per dissetarsi.
Bruno fu testimone della devastazione di Roma nel 1084 ad opera dei soccorritori normanni di Roberto il Guiscardo, subita per la “riconquista” della Cattedra di S. Pietro, più formale che reale in quanto il papa fu condotto “in salvo” a Salerno dove morì esule il 25 maggio dell’anno successivo, assistito come sostengono alcuni storici anche dal vescovo Bruno che ne raccolse le ultime parole: “Ho amato la giustizia, ho odiato l’iniquità e per questo muoio in esilio”.
Gian Piero Pagano