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Nella nostra Diocesi ritorna il Diaconato permanente

Diaconato permanente

Questo paginone è dedicato al Diaconato permanente. Il diacono permanente, come ci ha detto nell’intervista qui accanto don Giuseppe Bodrati, «appartiene al clero ed esercita un ministero non finalizzato al sacerdozio». Per questo il nostro Vescovo ha fatto tre nomine: come Delegato per il Diaconato permanente, don Giuseppe Bodrati; Responsabile dell’accompagnamento spirituale dei candidati al Diaconato permanente, don Emanuele Rossi; Responsabile della formazione teologica dei candidati al Diaconato permanente, don Stefano Tessaglia.

Dagli apostoli sino a noi: l’approfondimento di don Stefano Tessaglia

Per comprendere come ha avuto inizio la presenza dei diaconi nella Chiesa, bisogna necessariamente partire dal celebre brano degli Atti degli Apostoli al capitolo 6. Lì è raccontata l’istituzione dei «sette uomini stimati» a cui gli apostoli affidano il ministero della carità. Costoro non sono mai chiamati “diaconi” nel Nuovo Testamento, ma restano semplicemente «i sette»; sarà in seguito Ireneo di Lione (II secolo) a riferirsi a essi come “diaconi”: si tratta della prima menzione diretta dell’istituzione del diaconato.

In ogni caso la pagina biblica menziona che i candidati devono essere dotati di due requisiti: la “buona reputazione” ed l’essere “pieni di Spirito Santo”. Nel gruppo dei sette sono menzionati in modo particolare Stefano e Filippo. Di Stefano si segnala soprattutto l’apertura verso lo Spirito Santo ed il suo essere testimone della fede in Cristo di fronte al sinedrio. Qualcosa in più, sempre ascoltanto Atti, è noto su Filippo: nel suo ministero egli battezza nel nome del Signore, apre la strada agli apostoli, insegna il Vangelo.

San Paolo, infine, nella lettera ai Filippesi (1,1) e in quella a Timoteo (1 Tm, 3), parla già del diaconato come di un ministero definito e ricorda il nome di quattro diaconi suoi collaboratori: Timoteo, Ci accorgiamo così che esistono i diaconi come parte della struttura della Chiesa, sin dall’inizio, con una missione specifica vicina a quella degli Apostoli, e alle loro dirette dipendenze. Tale missione è affidata attraverso un gesto sacramentale, l’imposizione delle mani, da parte degli Apostoli stessi, e richiede nei candidati alcune doti morali e personali. Gli ambiti di tale missione, poi, sono facilmente individuati: il servizio alle mense, la prima evangelizzazione, con la catechesi per il battesimo, il servizio diretto a disposizione degli apostoli, come inviati presso le comunità.

La “decadenza” del diaconato, in realtà, inizia già verso il IV secolo, con lo sviluppo dei monasteri, in seguito al quale i diaconi si vedono in qualche modo espropriati delle funzioni legate alla carità e all’assistenza; sono ora i monaci e i religiosi a dedicarsi in special modo alle opere di misericordia. Il diaconato perciò si riduce gradatamente alla sola sfera liturgica o all’amministrazione dei beni; di fatto, col tempo, viene ridotto ad un semplice gradino in vista dell’ordinazione presbiterale. Si deve attendere il Concilio Vaticano II (1962-Concilio Vaticano II (1962-Concilio Vaticano II 1965) per vedere il ritorno del diaconato come sacramento proprio e permanente. Il Concilio ripropone infatti la dottrina sul diaconato nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, la quale ricorda i diaconi, «ai quali sono imposte le mani “non per il sacerdozio ma per il servizio”» (LG, n. 29).

Con questa antica formula che distingue i diaconi, il Concilio invita a comprendere la specificità del ministero diaconale. Benché essi non siano chiamati alla presidenza dell’eucaristia, sono segnati dal «carattere» e sostenuti dalla «grazia sacramentale» dell’ordine ricevuto, e chiamati «al servizio del popolo di Dio, in comunione col vescovo e il suo presbiterio», nella «diaconia della liturgia, della parola e della carità». Il Concilio, infine, decide che anche nella Chiesa latina il diaconato possa essere «restaurato come un grado proprio e permanente della gerarchia», conferito anche «a uomini di età matura anche sposati, e così pure a giovani idonei» (LG, n. 29).

don Stefano Tessaglia

Intervista a don Giuseppe Bodrati

«Il nostro Vescovo ha deciso di riprendere un percorso di formazione con alcuni candidati e aspiranti a questo ministero, che è un vero e proprio servizio nella Chiesa ed è un arricchimento per tutto il sacramento dell’Ordine, che si esprime nei tre gradi episcopale, presbiterale e diaconale». Così ci spiega don Giuseppe Bodrati (nella foto) moderatore della Curia diocesana e Delegato vescovile per il diaconato permanente.

Don Giuseppe, il diaconato permanente è rivolto ai laici.

«Il diacono permanente è un ministro ordinato che appartiene al clero ed esercita un ministero non finalizzato al sacerdozio. Il suo fondamento nasce dal racconto del libro degli Atti degli Apostoli. Siamo al capitolo 6: “In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola». Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani”. Ecco, qui si vede chiaramente un aspetto della vita della Chiesa dopo la resurrezione di Gesù: gli apostoli si rendono conto che gestire tutto il “meccanismo” della carità toglie tempo al loro compito principale, cioè l’annuncio e la preghiera. Proprio allora scelgono questi sette uomini di fede ai quali affidano proprio il compito della carità, intesa non solo come condivisione ma anche come virtù dell’amore di Dio nei confronti di tutti. Per non sottrarre tempo e spazio a quello che è il loro impegno primario: l’annuncio del regno del Vangelo di Gesù».

Tu sei stato diacono permanente, e successivamente hai scelto di diventare sacerdote. Perché?

«Sono stato diacono permanente per 16 anni. Poi, attraverso un cammino di discernimento fatto con l’allora vescovo monsignor Charrier, insieme con molti confratelli, ho maturato la mia vocazione al presbiterato e sono stato ordinato sacerdote. Devo dire che oggi la mia vita è spesso occupata da una serie di preoccupazioni che mi distolgono un po’ dal mio impegno primario, che dovrebbe essere l’annuncio della Parola di Dio, la celebrazione e la vivificazione delle comunità. Mi ritrovo oberato da impegni burocratici, amministrativi, economici…».

E dunque?

«Dunque penso che sia utile, anzi necessario, che di alcuni aspetti della vita delle comunità si possano occupare persone certamente competenti, ma legate anche al ministero. Non dimentichiamo che il diaconato è un ministero che dipende direttamente dal vescovo».

Quindi la carità del diacono viene esercitata anche nei vostri confronti.

«Certamente».

Quindi il diacono non è il sostituto, o il “maggiordomo”, del parroco?

«Assolutamente no. Non è un “finto prete”, non è un mezzo prete, ma è un diacono. C’è a volte un equivoco: il diaconato permanente non è un gradino inferiore per accedere poi al presbiterio, come succede per il diaconato “transeunte” di chi poi in effetti verrà ordinato sacerdote. Lo ripeto: quello del diacono permanente è un ministero. E quindi, dal nostro punto di vista, è una grazia del Signore alle comunità».

Andrea Antonuccio

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