Care lettrici,
cari lettori,
in apertura di Voce vi raccontiamo, con nomi e numeri, i risultati delle recenti elezioni: europee, regionali e (per diverse zone della nostra provincia) anche comunali. Sono dati su cui è opportuno riflettere, soprattutto in merito alla percentuale di astenuti che, piaccia o no, costituiscono il primo “partito” in Italia. Come recuperare questo arcipelago di persone, interessi e idee che preferisce non partecipare alla kermesse elettorale? Quali sono i motivi di un allontanamento che sembra inarrestabile? Proveremo, su queste pagine, a capirne di più nell’immediato futuro.
Nell’attesa, condivido con voi la strepitosa catechesi di papa Francesco durante l’udienza generale di mercoledì 12 giugno. Che cosa ha detto il Santo Padre di così interessante da scatenare il mio entusiasmo? Ve lo dico subito, con le sue parole: «E l’omelia, quel commento che fa il celebrante, deve aiutare a trasferire la Parola di Dio dal libro alla vita. Ma l’omelia per questo dev’essere breve: un’immagine, un pensiero e un sentimento. L’omelia non deve andare oltre gli otto minuti, perché dopo con il tempo si perde l’attenzione e la gente si addormenta, e ha ragione». Ecco: io sono uno di quelli che, dopo gli otto minuti, si addormentano. Anzi, faccio di peggio: mi distraggo e penso ad altro… Per questo, ve lo confesso, sul cellulare ho gli Esercizi spirituali della Fraternità di CL di quest’anno («Quello che mi stupisce, dice Dio, è la speranza»), da leggere quando il celebrante, nell’omelia, non dice nulla e ci mette tanto a (non) dirlo. «E questo voglio dire ai preti, che parlano tanto, tante volte, e non si capisce di che cosa parlano. Omelia breve: un pensiero, un sentimento e uno spunto per l’azione, per come fare. Non più di otto minuti»: così ha ripetuto il Papa, nella stessa udienza. Lo ha detto due volte, non una sola, ha insistito… vi prego, non scandalizzatevi: non lo faccio sempre.
Solo dal nono minuto in avanti.
Andrea Antonuccio