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C’è un tempo per ogni azione: intervista a don Andrea Alessio

Intervista a don Andrea Alessio

Parla il direttore dell’ufficio per la pastorale universitaria

Parlaci di te

Don Andrea, raccontaci un po’ chi sei.

«Sono nato nel 1987, quindi sono 37 anni a settembre. Dal 2016 sono sacerdote della Diocesi di Alessandria. E mi sento felice di essere sacerdote oggi. Sono co-parroco nell’unità pastorale Valenza Collina: una grande gioia, oltre che una grande prova, che il Signore mi ha donato attraverso la richiesta del Vescovo. E poi appunto mi occupo dell’ambito dei giovani, sia a scuola, insegnando nella scuola media “Angelo Custode”, sia con la pastorale universitaria, quindi l’università».

Cos’è la pastorale universitaria?

Cosa vuol dire essere responsabile della pastorale universitaria?

«Anch’io lo sto scoprendo passo dopo passo. Ogni volta che viene chiesto un servizio, un impegno, una persona magari crede di sapere cosa deve andare a fare. Poi, pian piano, la vita ti mette davanti alle situazioni e da lì impari. L’esperienza ti insegna poi che cosa significa realmente fare questo servizio. Pensando alla pastorale universitaria, la prima parola che mi è subito venuta in mente, che ho dentro di me, è accompagnare. Stare accanto ai ragazzi che stanno vivendo questo periodo importante della loro vita che li prepara al mondo del lavoro. Quindi, certamente, occorre uno stile che, come ci ricorda spesso anche papa Francesco, è quello della cura, dell’accompagnamento, della vicinanza. Uno stile che anche io da universitario ho sempre apprezzato e cercato: il sostegno nel momento della prova, ma anche la vicinanza del momento della gioia. Quindi certamente accompagnare per sostenere durante il cammino universitario e per dare una marcia in più. La marcia in più, ovviamente, è Gesù. Fa anche rima (sorride). E con questa marcia vai dritto dritto verso il futuro».

Secondo te, che cosa significa pastorale?

«Pastorale è un termine che noi sacerdoti usiamo spesso, ma è usato anche da laici, collaboratori delle nostre parrocchie. Nelle iniziative pastorali diciamo sempre: “Pastorale, pastorale”. Certamente indica uno stile, come dicevo già prima, da proporre con delle proposte, delle occasioni, nel mio caso in modo particolare per i giovani universitari, per avere un aiuto nella propria condizione di vita universitaria. E fargli capire che Gesù ha qualcosa da dire a loro in quel particolare momento della loro vita. Quindi, pastorale per me riguarda tutto quello che può essere utile per i giovani da scoprire attraverso il Vangelo, l’insegnamento di Gesù e anche quello della Chiesa. In modo particolare in questo periodo sotto il pontificato di papa Francesco. Quindi direi che il desiderio è dare delle opportunità per conoscere il Vangelo e per poter vivere una vita cristiana. Sapendo che il Vangelo può dare loro quegli strumenti necessari per una vita piena, non solo in quel momento ma poi anche per il futuro. Molte volte troviamo giovani lontani dal Vangelo, ma questo penso che ormai non ci debba più spaventare, è una realtà. A volte c’è il cosiddetto secondo annuncio: molte volte troviamo ragazzi che sono cresciuti nelle parrocchie, ma poi si sono un po’ persi, e dall’altra invece ragazzi che sono per cultura lontani dal Vangelo. Ovviamente è una sfida, ma non ci può spaventare!».

Quali sono le attività che avete pensato e che state pensando?

«Ho pensato ad alcuni eventi nel corso del tempo. All’inizio mi sono informato, perché era un incarico nuovo, e quindi ho dovuto studiare e pregarci un po’ sopra. Essendo quella del Collegio universitario Santa Chiara una bellissima realtà, mi sono confrontato con l’équipe educativa del Collegio, in modo particolare con la direttrice Carlotta Testa. E poi insieme abbiamo pensato a diverse proposte, alcune mirate per gli studenti del Santa Chiara, altre aperte a tutti gli universitari. In concreto abbiamo fatto delle proposte legate alla spiritualità: il momento della Messa settimanale e ho dato gli orari in cui è possibile incontrare me. Essendo anche cappellano del Collegio, e vivendo lì, è possibile incontrarmi, ma ho dato degli orari per un colloquio e per un momento insieme. Poi, ovviamente, abbiamo degli incontri di comunità di Collegio e poi abbiamo pianificato degli incontri più caritativi. Negli anni passati abbiamo organizzato, con i ragazzi del Santa Chiara, alcuni servizi con la Caritas e con la mensa di Casa San Francesco. Proponiamo questo perché pensiamo che i ragazzi giustamente sono concentrati sullo studio, poi hanno i loro impegni e le loro relazioni, ma hanno bisogno di allargare lo sguardo per non distrarsi e non chiudersi in sé stessi. Ma aprendosi alle realtà che trovano intorno, sia quella spirituale sia quella legata alla fragilità delle povertà, facendo quindi un servizio a favore degli altri».

Come accompagnare i giovani nel 2o24?

Come si accompagnano i giovani universitari oggi?

«Penso che questo vada bene per ogni tempo. Innanzitutto, l’ascolto: dare la propria disponibilità dedicando del tempo perché i ragazzi hanno bisogno di parlare, di essere ascoltati e di confrontarsi. E, ovviamente, questo permette di aprire il loro orizzonte anche su altre cose, che vanno oltre il problema dello studio o dell’esame. Io vedo questo: nei colloqui anche semplici che abbiamo, passando qua e là in Salone San Francesco o sulle panchine del Collegio, fermi a chiacchierare, non si parla solo dell’esame, ma pian piano si parla di tante cose e di tante realtà. Quindi bisogna saperli ascoltare e saper ascoltare».

Come si forma alla vita un ragazzo di vent’anni?

«Qualcuno dice che l’adolescenza duri fino ai 25 anni. Essendo una fase di definizione di sé, magari qualcuno avverte l’uscita da casa, iniziare a vivere da soli. Quindi ci sono tanti interrogativi, tanti aspetti da mettere. Certamente, quello che noi possiamo offrire è una chiave di lettura per affrontare la vita nel modo giusto, e anche per vivere le fasi difficili del fallimento, della crisi. Che ci stanno. Però come imparare a superare le prove e le difficoltà? Quello che facciamo, come équipe del Collegio Santa Chiara, è aiutare i ragazzi a saper affrontare varie situazioni differenti e dare un taglio diverso che, magari, in quel momento non immaginano. E la Parola del Vangelo oggi ha qualche cosa da dire a loro e certamente può smuoverli da una situazione che credono sia immobile e statica».

Ecco, ma cosa aggiunge la spiritualità a un percorso di formazione?

«Dona a loro la possibilità di capire che sono esseri in relazione e che si realizzano, nel modo più bello, nel dono di sé. E poi penso che la spiritualità li aiuti a capire qual è la loro strada nella vita, la loro vocazione. Tutti abbiamo una vocazione, che non è solo quella sacerdotale. E la spiritualità, quindi, aiuta a capire chi sono loro, che cosa vogliono nella vita e qual è il progetto di Dio per la loro vita. Poi la fede cristiana dà un senso alle nostre relazioni perché la orienta alla pienezza dell’amore, che passa attraverso l’ascolto, la pazienza, il perdono, la condivisione e tutti i suoi aspetti».

Il Papa, nella citazione che riportiamo qui sotto, ha citato una frase di Pessoa. Durante i tuoi colloqui con i ragazzi avverti in loro questa inquietudine?

«Le inquietudini e le preoccupazioni ci sono, nei vari step universitari e poi ovviamente nell’incognita del lavoro, ma anche nelle proprie relazioni sentimentali. Pensando al loro futuro, a come sarà e come potrà essere. Quindi certamente sì, ci sono delle preoccupazioni, delle ansie e delle aspettative anche. Ma, come ha detto il Papa a Lisbona, è qualcosa di positivo, perché ci sono dei sogni, ci sono delle prospettive future, e dall’altra che c’è un desiderio di realizzarle, di portarle avanti. Questa inquietudine è il segno di voler realizzare qualcosa, l’importante è che poi non si trasformino in paure che bloccano il percorso. Ma se sono solamente degli obiettivi da raggiungere, consapevoli però che ci sono delle difficoltà, penso che sia normale».

[per l’intervista completa, clicca qui]

PAROLA DI PAPA FRANCESCO

Pessoa ha detto, in modo tormentato ma corretto, che «essere insoddisfatti è essere uomini». Non dobbiamo aver paura di sentirci inquieti, di pensare che quanto facciamo non basti. Essere insoddisfatti, in questo senso e nella giusta misura, è un buon antidoto contro la presunzione di autosufficienza e contro il narcisismo. L’incompletezza caratterizza la nostra condizione di cercatori e pellegrini; come dice Gesù, «siamo nel mondo, ma non siamo del mondo».

Discorso agli universitari
durante la Gmg di Lisbona, 3 agosto 2023

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