Fra Daniele Noè ci racconta il suo impegno nella mensa dei frati
di Casa San Francesco. Per incontrare l’altro e, soprattutto, vedere
il Signore nel povero: «Una cosa non scontata, né automatica»
Fra Daniele Noè (nel tondo), classe 1973, è nella nostra diocesi dal 2016, ed è stato ordinato sacerdote esattamente due anni dopo, nel 2018. Oggi vive nella comunità di Casa San Francesco ad Alessandria, insieme con i suoi confratelli fra Giorgio Noè e fra Lorenzo Tarletti. In particolare, fra Daniele, grande appassionato di calcio e tifoso della Juventus, ha “ereditato” con grande senso di responsabilità (e un po’ di timore) la mensa dei poveri che si affaccia su via Gramsci. A lui chiediamo “quanto vale” un’opera di carità di questo genere nella nostra città e nella nostra diocesi. «È un’opera che vale tanto, non solo perché diamo da manguare alle persone, ma anche e soprattutto come luogo di accoglienza, ascolto e condivisione delle necessità dei più bisognosi» spiega il frate.
Daniele, da quando ti occupi della mensa?
«Da quando gli “storici” frati minori cappuccini hanno lasciato definitivamente il convento. Stiamo parlando del maggio 2023, più o meno».
Che cosa hai trovato?
«Ho trovato un luogo ricco di grazia e di attenzione verso il prossimo. Ringrazio in particolare padre Roberto Cattaneo, che mi ha affiancato nei primi tempi e mi ha aiutato a prendere in mano le redini della mensa».
A quante persone servite la cena, mediamente ogni giorno?
«In quest’ultimo periodo siamo arrivati a servire fino a 177 persone. Un numero impensabile e preoccupante. Normalmente stiamo tra le 150 e le 160».
La povertà aumenta?
«Visti questi numeri, possiamo dire di sì, è certamente in aumento. Soprattutto tra gli stranieri, almeno in questo periodo».
E gli italiani?
«Ci sono anche loro, ma in numero decisamente minore».
All’inizio ci hai detto che la mensa vale anche perché è un «luogo di accoglienza, ascolto e condivisione delle necessità dei più bisognosi». Qual è la vera povertà, oggi? Non avere di che vivere, o c’è dell’altro?
«Quello sulla povertà è un discorso ampio. In prima battuta c’è una povertà materiale, che affrontiamo quotidianamente con risposte concrete. Poi ci sono povertà di socializzazione, anche legate alle debolezze umane: droga, alcol, disturbi mentali e così via. Penso anche a povertà di educazione, di cultura e senso civico: molti extracomunitari devono essere aiutati a inserirsi sempre di più nel nostro tessuto socio-culturale. E non è una cosa facile».
Senti, ma come si legano le opere di carità alla fede? L’esperienza che stai facendo a cosa ti porta? A essere più buono, o a essere più cristiano?
«A essere più cattivo (ride). A parte le battute, è sicuramente un’opportunità di incontrare l’altro, e soprattutto di vedere il Signore nell’altro. Una cosa che, vi assicuro, non è assolutamente scontata né automatica».
E tu allora come fai?
«Provo ogni giorno a vivere il Vangelo. Ricominciando tutte le volte, mettendomi in gioco. Aiutato dalla comunità di Casa San Francesco, dai benefattori e dai volontari: senza queste persone difficilmente potremmo farcela».
Voi date da mangiare a tutti, vero?
«Sì, non facciamo distinzioni di alcun tipo. Certo, per una questione di ordine pubblico dobbiamo accertarci dell’identità di chi abbiamo davanti. Ma per noi un musulmano e un cristiano sono la stessa persona».
Che cosa accadrebbe se, un domani, la vostra mensa cessasse di esistere?
«Bisognerebbe riorganizzare l’aspetto della carità. Pensando che tutte queste persone non avrebbero più un luogo dove trovare una risposta alle loro necessità primarie, oltre alla Caritas, che già fa tantissimo sul nostro territorio».
Però voi ci sarete sempre, dai…
«Noi ci saremo, finché sarà possibile. Ma è importante il sostegno di tutti. E una corresponsabilità: donandosi nel servizio, e attraverso le offerte economiche».
Quindi la questione dei poveri riguarda anche noi? Non possiamo delegarla agli “specialisti” come te, una volta per tutte?
«No, riguarda tutti. E, soprattutto, noi cristiani, chiamati a metterci in gioco sull’amore verso il prossimo. Come ricorda proprio il Vangelo, il primo, il più grande comandamento è amare Dio con tutto il cuore, e il prossimo come sé stessi».
Se domani volessi fare il volontario alla mensa?
«Incontriamoci! Sarebbe davvero una bella cosa per tutti. Venite a trovarci a Casa San Francesco».