Gli abusi nella Chiesa sono distruttivi

«Ma avvengono anche in altri ambiti. Sono una piaga terribile, che è ovunque»

 

«Ogni storia personale di abuso racconta un certo contesto e una certa atmosfera. Così ognuna di queste storie diventa dolorosa, ma anche preziosa e da valorizzare. Mi sono accorto che per le vittime è fondamentale trovare un luogo dove raccontare, essere prese sul serio, senza sentire il giudizio degli altri. Mi hanno detto: “Nessuno mi ha considerato, mi ha chiesto o mi ha ascoltato. Mai”. Questo deve cambiare». Monsignor Ivo Muser (nella foto di copertina), Vescovo della Diocesi di Bolzano-Bressanone, è un fiume in piena. Il tema della nostra intervista è il report sugli abusi sessuali commessi su minori da chierici nel territorio della sua Diocesi, realizzato dallo studio legale Westpfahl-Spilker-Wastl di Monaco di Baviera, nell’ambito del progetto denominato “Il coraggio di guardare”. Nel documento, presentato lo scorso 20 gennaio, vi sono oltre 600 pagine di testimonianze che hanno portato alla scoperta di 67 casi (59 le vittime e 41 i sacerdoti coinvolti) tra il 1964 e il 2023. Si tratta di un passo coraggioso, che nessuna Diocesi italiana aveva mai intrapreso.

Eccellenza, il vostro report ha suscitato clamore.

«Il report è solo un tassello all’interno di un percorso più ampio. Nel 2010 abbiamo fondato lo sportello di ascolto e siamo andati avanti, passo dopo passo, ma non è stato sempre facile. Abbiamo coinvolto tutti, le commissioni e i consigli diocesani, e poi abbiamo fatto questo passo di trasparenza e miglioramento nel nostro processo. Il report non è un punto di arrivo, ma un tassello importante nel cammino. Adesso sarà fondamentale migliorare le strutture di prevenzione, ottimizzare i servizi, il centro di ascolto, il servizio di intervento e quello di prevenzione».

Quali sono state le reazioni, dopo la pubblicazione del report?

«Abbiamo ricevuto ulteriori segnalazioni. Questo è il momento in cui tutti possono raccontare. Mi tocca il cuore quando le persone iniziano a parlare della loro storia, forse dopo decenni. Non è facile raccontare esperienze e ferite, ma sento che sta crescendo la fiducia».

Ancora oggi, dentro le nostre comunità c’è chi pretende di tenere un “basso profilo” su questi temi.

«Non è facile per nessuno parlare di queste cose, lo capisco. Serve una cultura dell’errore, perché talvolta dobbiamo essere forti per ammettere un peccato. Qui tocchiamo il nervo della nostra fede cristiana: noi crediamo in un Dio che perdona, prende sul serio il peccato ma è capace di cancellarlo. Non sarà mai facile parlare di una nostra ferita, ma il Vangelo è chiaro: occorre ammettere l’errore e chiedere perdono. Non significa cancellare tutto, sia chiaro, ma con fiducia sapere che il peccato può essere perdonato».

Altri Paesi, come la Germania e la Francia, hanno reagito diversamente a questa piaga. Come se lo spiega?

«Ribadisco: noi tutti dobbiamo lavorare su un cambiamento di mentalità e cultura. Non è un problema italiano, tedesco o francese. Il Papa tante volte lo ha detto: è un problema della Chiesa universale. E noi tutti dobbiamo dare la nostra risposta. Sono fiducioso, però, perché abbiamo fatto dei passi, più o meno convinti, e nessuno può più negare questa ferita».

Eccellenza, crede che anche altre Diocesi faranno faranno un cammino come il vostro?

«Non lo so… So che la Cei si è messa in cammino. Vogliono fare una perizia, guidata da due studi indipendenti di Bologna e Firenze (la prima ricerca a livello nazionale sugli abusi commessi dai sacerdoti in Italia riguarderà i casi segnalati e trattati dalle diocesi fra il 2001 e il 2021, ndr). Ognuno deve prendere atto della propria situazione, noi ci sentiamo responsabili dei nostri casi e abbiamo scelto questa via. Ma non siamo i più bravi, tengo a sottolinearlo».

E il suo clero?

«Anche nel nostro presbiterio è cresciuta una grande fiducia. I sacerdoti sostengono questa scelta, con tutte le domande aperte. Vedo una grande sensibilità e responsabilità. Ultimamente abbiamo fatto una “due giorni”, anche su questo argomento, con circa 80 confratelli, e ho visto una grande sensibilità».

Nel report viene messo in discussione l’operato di quattro vescovi, dal 1964 al 2023. Tra questi, c’è anche lei.

«Certamente. Mi sono assunto tutte le responsabilità per gli errori commessi nel mio mandato. Per l’insufficiente controllo, per la riluttanza nell’adottare chiare misure preventive, per una documentazione carente, per non aver gestito al meglio i casi di abuso. Tante volte mi sono chiesto: “Di fronte a questi casi dolorosi, come avrei reagito 60 anni fa?”. Non credo sia giusto essere arroganti verso i nostri predecessori. Anche noi oggi facciamo errori, pur con tutta la buona volontà».

In questo cammino avete pensato anche come accompagnare le comunità.

«Abbiamo istituito un gruppo con alcuni membri esterni, persone competenti per dare sostegno alle comunità. Perché quando emerge un abuso, non è mai una relazione solo tra due persone ma coinvolge una comunità. Tanti sapevano e tacevano, per diversi motivi. Abbiamo istituito un’équipe che incoraggia a confrontarsi, dentro una comunità parrocchiale, su quello che è successo. Un abuso non è mai un fatto isolato o strettamente personale, ma avviene in un certo contesto e una certa mentalità».

Cos’è per lei un abuso?

«Dipende da caso a caso: ci sono coloro che lo hanno fatto una volta sola, e coloro che si sono sentiti costretti a rifarlo. Ma dobbiamo essere chiari: è una malattia ed è anche un crimine. Purtroppo non possiamo cambiare il passato: per questo, adesso, la prevenzione deve essere una priorità di tutti. Dobbiamo occuparci dei casi all’interno della Chiesa, perché quando avvengono sono distruttivi. Ma non dobbiamo dimenticare che gran parte degli abusi avvengono in altri ambiti della nostra società. Sono una piaga terribile, che c’è ovunque».

Don Gottfried Ugolini, qualche settimana fa, ha dichiarato al nostro giornale: «Quando un sacerdote commette tali atti, secondo me non è più accettabile che continui nei suoi incarichi». È della stessa opinione?

«Dobbiamo valutare caso per caso, e prendere atto di quello che è successo: la cosa più pericolosa è trattare questi casi come una sciocchezza, come una piccola cosa. Come se niente fosse. Prendiamo sul serio quello che succede. Si tratta di persone: quando parliamo di vittime non parliamo di casi, parliamo di persone, e lo facciamo anche quando parliamo di coloro che hanno abusato. Questa è la prospettiva del Vangelo. E questo non significa offuscare o minimizzare, ma prendere sul serio le profonde fragilità di tutti noi».

Cosa si sente di dire a chi vive con ferite così pesanti?

«Di non avere paura. Noi siamo pronti ad ascoltare. L’abbiamo detto sempre, anche quando abbiamo presentato il report: invitiamo tutti a raccontare la loro storia».

Eccellenza, perché Dio permette tutto ciò?

«Anche in un abuso Cristo c’è. Cristo si schiera dalla parte degli esclusi, dei poveri, e sappiamo che la povertà ha tante facce. Ma Cristo accoglie. Al centro della nostra fede c’è il Risorto che porta le ferite della croce. Lui è il Risorto perché porta le ferite, altrimenti sarebbe una menzogna, un mito, un fantasma. Con le sue ferite si mostra come Risorto: questa è la nostra speranza, ed è la speranza sulla quale si fonda tutto il cristianesimo. L’augurio è che tutte queste ferite trovino redenzione in Lui. Perché senza la fede, senza Cristo, rimangono ferite senza speranza».

Alessandro Venticinque

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