Affidiamoci alla Salve

Solennità della nostra Clementissima Patrona: parla il Vescovo

«Abbiamo fatto dei cambiamenti per togliere la “polvere” dell’abitudine»

 

Monsignor Gallese, dal 3 al 12 maggio festeggeremo la Madonna della Salve. La processione sarà al sabato sera: perché questo cambiamento?

«Abbiamo voluto tornare al giorno preciso della festa, esattamente il sabato prima della terza domenica di Pasqua. E poi teniamo a sottolineare questo Giubileo con i flambeaux, come a Lourdes, per esprimere la nostra gioia in un modo più evidente e festoso».

La domenica successiva, 11 maggio, dopo la Messa celebrata insieme con i vescovi piemontesi la Salve uscirà e benedirà con il suo manto i malati e le persone anziane.

«Abbiamo pensato a questo momento per coloro che non potranno essere presenti alla processione di sabato sera. Ma è un’occasione in più per tutti».

Che novità porta la processione della Salve, quest’anno?

«Nella nostra vita spirituale spesso si deposita un po’ di “polvere”: quella dell’abitudine. Noi dobbiamo vigilare e, tante volte, l’intervento pastorale è proprio quello di togliere questa polvere, altrimenti le occasioni diventano cose da fare. Mai devono essere cose da fare, sempre deve essere un atto vitale interiore… Noi, purtroppo, partiamo sempre dalle cose da fare, ed è il nostro problema. L’esperienza si riduce, fino a quando non la vivifichiamo di nuovo».

Come ci si aiuta in questo? Spesso ce ne accorgiamo solo quando il Signore ci toglie qualcosa.

«Sì, a volte il Signore toglie, a volte siamo noi che togliamo, perché vivendo le cose da fare abbiamo bisogno di cambiare. Ecco perché quest’anno facciamo dei cambi per la Festa della Salve: cambiando, sei costretto a ri-pensare, a ri-decidere, a ri-scegliere. E questo è quello che il Signore vuole. Noi invece preferiamo nasconderci dietro la quieta ripetizione delle cose, perché ci disturba di meno. Allo stesso tempo, però, ci interroga di meno e ci dà meno gioia».

Davanti alla Salve si presentano tante persone che non vanno abitualmente a Messa.

«Anche per loro può diventare un’abitudine mettersi davanti alla Salve, una volta all’anno. Però quando ti abitui a questo tran tran e non trovi uno stimolo nuovo, si ingrigisce persino un momento di fede come questo».

Aver creato un’effigie della Madonna della Salve, e averla mandata in giro per le unità pastorali con la Peregrinatio Mariae, va in questa direzione?

«Certo, il significato è proprio questo: per rivivificare la devozione attraverso qualcosa di nuovo. Grazie alla Madonna che si fa vicina, perché è Lei che viene a trovarti».

Eccellenza, quali riscontri ha ricevuto su questa Peregrinatio Mariae?

«Ho sentito diverse persone che hanno espresso il loro apprezzamento profondo per la bellezza di quei giorni di preghiera con la Madonna. Direi che ha avuto il suo effetto!».

Lo scopo non è trasmettere la devozione della Salve alle nuove generazioni, dunque, ma è un altro: risvegliare la fede.

«Risvegliare la fede, certo».

Quindi anche la sua, di fede?

«La mia fede va sempre risvegliata, quello è un mio lavoro quotidiano (sorride). Sto vigilando molto su questo, il Signore fa sempre far fatica. La fatica fa parte della vita e, se ci facciamo caso, difficilmente le cose belle che viviamo non hanno dietro una fatica. Esperienze forti comportano una fatica “forte”. Perché ci mettiamo a fare pellegrinaggi? Perché, scomodandoci, facendo fatica, scopriamo la presenza di Dio».

Come si trasforma una fatica in un sacrificio, cioè in qualcosa di sacro?

«La fatica si trasforma in un sacrificio quando ti chiedi: “Perché sono qui?”. Ricordo lo scritto di uno scout morto a 20 anni, che venne con noi a una Route della comunità scout di Soviore, un campo mobile Ancona-Loreto sulla Madonna. Tornato a casa, ha scritto su un foglio: “La strada sale attraverso gli scarponi, lungo il corpo, perché la fatica ti attanaglia”. E diceva: “Davanti alla minestrina di ogni sera ti chiedi: ‘Ma non potevo andarmene a Rimini?’. Ma la risposta l’hai davanti agli occhi, nel fuoco e negli occhi dei tuoi fratelli e sorelle”. Ti fai questa domanda: “Ma chi me lo fa fare? Non potevo andare in vacanza, anziché buttarmi in un pellegrinaggio faticoso?”. Senti la fatica che mi sale lungo la spina dorsale dai piedi, però la risposta ce l’hai davanti agli occhi. È questa la dinamica del pellegrinaggio, una offerta amorosa: capisci che ne vale la pena e offri al Signore questo perché stai vivendo un’esperienza vera con fratelli e sorelle in cui incontri il Signore. Altrimenti è una gita in montagna… Il pellegrinaggio “a cinque stelle” non è un vero pellegrinaggio».

Eccellenza, veniamo al Giubileo degli Adolescenti.

«Ho incontrato una marea di giovani: i nostri erano ben 118. Abbiamo fatto una celebrazione bellissima come Piemonte, a San Paolo fuori le Mura, il 25 aprile. La Basilica era piena, gremita, di adolescenti: circa 3.500. Uno spettacolo».

Che volti ha visto?

«Ho visto dei ragazzi gioiosi, felici. Ragazzi a cui non è facile parlare perché hanno perso il linguaggio della Chiesa, e quindi bisogna ripartire. È una grande opportunità, ne sono convinto. Ho visto dei giovani che, anche di fronte a tanti disagi (perché in queste situazioni fatichi, sei fuori dalla solita comodità), hanno risposto con grande disponibilità, prontezza, docilità, gioia».

Quale preoccupazione dovrebbe avere un educatore di fronte a questi ragazzi?

«Quella di esserci, prima di tutto, e di portare avanti un legame, una relazione che col tempo si riempie di Dio. Questa relazione passa dal vissuto quotidiano, che va trasfigurato con l’aiuto di qualcuno: una figura significativa, un educatore, un testimone, un modello, un esempio che ti aiuti a guardare la realtà in un modo nuovo. Perché la conversione è un cambiamento di mentalità: metànoia, dal greco antico “meta” e “nous”. Ovvero, andare oltre, al di là del tuo pensiero solito».

Ora veniamo al funerale di Francesco. Che cosa ci può raccontare?

«Beh, innanzitutto mi ha impressionato vedere riuniti tutti i grandi della Terra. L’immagine che mi è rimasta dentro è quella di Trump e Zelensky, che ho visto solo in fotografia. Tra l’altro, ai funerali ero seduto proprio di fronte al Presidente americano: ho come intravisto un “canale aperto” e ho pregato per lui. Ma eravamo lì per Francesco, un uomo che ha cambiato le regole del mondo in un modo molto semplice: vivendo. La cosa più convincente di questo Papa era questa: lui era così come lo si vedeva, con i suoi difetti, come tutti… A volte mi sembra che la gente pretenda un Papa perfetto: così, quando inevitabilmente emergono i suoi limiti, ha la scusa per non obbedirgli!».

È per questo che lei ha scritto una lettera alla Diocesi, che pubblichiamo a pagina 11?

«Il punto è questo: o mi fido di Dio e seguo il Papa che il Signore mi dona; oppure seguo solo me stesso. E allora il Pontefice diventa una “scusa” che serve a giustificare le mie idee».

Non le sembra che questo sia il modo con cui affrontiamo un po’ tutte le cose? Dalla politica al lavoro, fino agli affetti…

«Certo. La conversione è farsi “scardinare” la mente, è cambiare mentalità. A un confratello Vescovo ho detto: “Io sono terrorizzato all’idea del nuovo Papa, perché mi toccherà cambiare mente ancora. E sentirò scricchiolare la mia mente e la mia anima”. La mia mente e la mia anima scricchiolano, gemono, perché è la conversione, è la fatica della conversione».

Torniamo alla Salve: ha qualcosa da chiederLe, quest’anno?

«Affiderò la Diocesi alla Madonna. Poi vedremo che cosa mi verrà in mente durante la processione… Ora proprio non lo so».

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