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In preghiera per l’unità dei cristiani. Perché siano una cosa sola

Sabato 20 gennaio alle 19.00 la preghiera ecumenica al Suffragio

Le nostre comunità stanno vivendo in questi giorni la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che ormai da molti anni vede impegnate insieme le diverse chiese cristiane, cattolici, ortodossi e riformati. La data tradizionale per la celebrazione della settimana va dal 18 al 25 gennaio, compresa cioè tra la festa della cattedra di S. Pietro e quella della conversione di S. Paolo, assumendo così un significato simbolico, posta tra le feste dei due apostoli considerati “le colonne” della chiesa. Nel contesto del cosiddetto “movimento ecumenico” (dal greco “oikoumene”, “terra abitata”, in senso ampio “casa comune in cui tutti viviamo”) da ormai più di un secolo è maturata nei cristiani la convinzione della necessità di un impegno comune, perché le diverse comunità che si sono divise per motivi storici (ricordiamo lo scisma con l’oriente del 1054 o i contrasti con Lutero nel XVI secolo) possano tornare unite e vivere la stessa fede. Il cammino dell’ecumenismo moderno nasce intorno al 1850 con il cosiddetto “Movimento di Oxford”, ed ha un momento fondamentale nella Conferenza internazionale missionaria di Edimburgo del 1910. È in ambito missionario, quindi, che nasce la questione ecumenica: i missionari segnalano alle rispettive chiese come le divisioni e la concorrenza nell’attività  missionaria costituiscono motivo di disorientamento e di confusione. È passato alla storia il rimprovero che i popoli convertiti muovevano alle chiese, così espresso: «Voi ci avete inviato dei missionari che ci hanno fatto conoscere Gesù Cristo; non possiamo che ringraziarvi. Ma ci avete portato anche le vostre distinzioni e le vostre divisioni; alcuni ci predicano il metodismo, altri il luteranesimo, il cattolicesimo o l’episcopalismo. Noi vi domandiamo di predicare il solo Vangelo e Gesù Cristo». Nel 1948 sorge il Consiglio ecumenico delle chiese (preceduto dai gruppi “Fede e Costituzione” e “Vita e Azione”), costituito dall’insieme di tutte le chiese, senza tuttavia la chiesa cattolica. Scrivevano significativamente i delegati alla prima assemblea mondiale del Consiglio: «Noi siamo un consiglio di Chiese, non il concilio della Chiesa una e indivisa. Il nostro nome indica la nostra debolezza e la nostra vergogna davanti a Dio, perché in fondo può esserci e c’è solo una Chiesa di Cristo sulla terra. La nostra pluralità è una profonda anomalia. Ma il nostro nome indica anche che siamo consapevoli di tale situazione, che non la accettiamo passivamente, che intendiamo avanzare verso la manifestazione della Chiesa Una e Santa». E i cattolici in tutto questo? La tendenza della chiesa cattolica è spesso stata di rifiuto del dialogo ecumenico, poiché si riteneva essa stessa il ceppo originale da cui si sono staccate tutte le altre comunità. Pertanto, “ecumenismo” significava semplicemente “ritorno” nel suo seno delle chiese separate. Il movimento ecumenico nasce così fuori dalla Chiesa cattolica e, sostanzialmente fino al concilio Vaticano II, rimane fuori di essa. Ci sono, è vero, anche tra i cattolici, movimenti e personalità che si aprono a tali iniziative, ma vengono visti con preoccupazione
dalla Santa Sede, mentre l’atteggiamento ufficiale, fino agli anni ’60, rimane quello intransigente: i “fratelli separati” hanno una sola possibilità: quella di “ritornare”. La grande svolta della chiesa cattolica verso l’ecumenismo verrà data da papa Giovanni XXIII con l’enciclica “Ad Petri cathedram” del 1958, in cui, aprendo nuovi orizzonti di incontro e di dialogo, le altre chiese sono definite come “figlie” e “sorelle”, non più considerate come eretiche, scismatiche e scomunicate. Sempre per sua iniziativa, nel 1960, nasce il “Segretariato per l’unità dei cristiani”, mentre il Concilio Vaticano II approva l’importante decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio” (1964), a cui seguiranno i documenti dei diversi papi del nostro tempo. Dal 1968, finalmente, la chiesa cattolica partecipa al Consiglio ecumenico delle chiese, riconoscendo che il punto di convergenza dei credenti non è più verso di essa, ma verso Cristo. In tal modo si punta verso l’unità nel rispetto delle diverse tradizioni storiche e nell’impegno congiunto su diversi fronti, anche concreti: dal rispetto per la vita umana e il creato, fino alla preghiera comune e al dialogo teologico.

Stefano Tessaglia

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