Care lettrici, cari lettori,
domenica 4 febbraio si celebra la 40ª Giornata nazionale per la vita. Qualche giorno fa, martedì 30, è nato Michele. La madre ha partorito all’età di 48 anni. Alcuni medici (diversi da quelli che poi l’hanno seguita e fatta partorire) cercano di dissuaderla dal portare avanti la gravidanza, anche dopo alcune ecografi e poco rassicuranti. Perché far nascere un bimbo che avrà dei problemi? Eppure, i genitori non hanno dubbi: è un essere vivente, un dono di Dio, pur faticoso da comprendere. Ma c’è. È una questione di realismo, prima ancora che un problema morale: non è accettabile che per risolvere un problema lo si debba eliminare. Il bimbo c’è. Malgrado le suggeriscano il contrario, la mamma rifiuta di fare persino l’amniocentesi. Venga fuori come vuole, questa creatura. «Signora, il bambino non ha lo stomaco» le dicono dopo un’ecografi a. Oppure: «Ha la pancia grossa e gli arti più corti del dovuto… sa che significa?». La gravidanza va avanti. E così Michele viene al mondo. Lo stomaco c’è, il resto anche. Michele è bellissimo, la sua nascita è un miracolo. Di ostinazione, in qualche modo; ma soprattutto di fede, di fiducia in Colui che sa meglio di noi qual è il nostro bene. Ah, dimenticavo: Michele è il figlio numero sei. Quanta gente conoscete, anche tra la gente “di Chiesa”, che ha messo al mondo sei figli? Ecco, appunto. A pensarci bene, il più strenuo difensore della cultura della vita è Michele, cioè l’essere più debole e indifeso al mondo. Insieme con i suoi coraggiosi genitori. O forse, sotto sotto, pensate che siano in realtà degli incoscienti?
A cura di Andrea Antonuccio