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Alessandria Racconta – La regina Pedoca

Ricorrente nella tradizione orale piemontese, il mito di Pedoca può aver avuto origine dai canti popolari del medioevo che celebravano Bertrada di Laon, madre di Carlo Magno, conosciuta come «Berta dal gran piè» per via di un piede più lungo dell’altro. Alcuni pensano possa trattarsi della omonima figlia di Alarico I oppure di Ragnachilde, moglie di Teodorico III. Altri ancora la associano a Genoveffa di Brabante, protagonista dell’epica storia d’amore con il duca Sigfrido ovvero a Berta di Borgogna (nota per i suoi piedi palmati), la quale, dopo essere stata moglie del conte di Chartres, andò in sposa al cugino re di Francia Roberto II il Pio. Ad Alessandria viene semplicemente considerata una variante della più famosa leggenda di Gagliaudo. Si narra, infatti, che la feroce regina tedesca Pedoca, a capo di un poderoso esercito, pose l’assedio alla nostra città approssimativamente dieci anni dopo il Barbarossa. Appena arrivata, fece piantare delle viti attorno alle mura, giurando a se stessa che non se ne sarebbe andata prima di aver bevuto il vino prodotto con quell’uva. A parere di Arturo Graf, il nome Pedoca potrebbe derivare proprio da una certa qualità d’uva chiamata regina che ha la foglia a forma di piede d’oca. Dopo sette anni, Alessandria non era ancora capitolata, costringendo quindi Pedoca a tornarsene in Germania con le pive nel sacco. La sovrana, che già pregustava il sangue degli assediati, si dovette accontentare di far spargere a terra il vino contenuto nelle botti. Tale esempio di ottusa stupidità è stato celebrato da un detto: «Tej fùrb c’mè Pedoca» (Sei furbo come Pedoca), comportamento che Franco Castelli chiama pedochismo, ossia il vizio autolesionistico e gusto per antifrasi. Il racconto, frutto della fervida fantasia popolare, evoca però un fatto reale: le rilevanti devastazioni subite dai poggi coltivati a vite intorno al borgo di Bergoglio da parte delle truppe imperiali. Una norma dell’epoca prevedeva appunto che ogni cittadino dovesse piantare vigne nella sua proprietà allo scopo di fornire alla città un prodotto e un reddito. Sicuramente l’intento della leggenda era quello di esaltare la tenacia degli alessandrini nel difendere la libertà appena conquistata. Tale blasone può essere ben sintetizzato attraverso la celebre frase attribuita a Gagliaudo Aulari che scoraggiò il Barbarossa dalla conquista di Alessandria: «In cederran mai i lisandren, in cederran».

Mauro Remotti

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