Il ricordo dei “fanciott” nel 67° anno dalla scomparsa dello stimato canonico
I fedeli della parrocchia di San Pio V e non solo hanno un vero e proprio “culto” per don Stornini. Fondatore del ricreatorio nel luogo dove ora sorge la chiesa dedicata al papa nativo di Bosco Marengo, ha rappresentato una sorta di “don Bosco alessandrino” per la sua devozione ai giovani e il suo metodo educativo fondato su preghiera e gioco. Nato nel 1868 a Cantalupo da una modesta famiglia di contadini, ha compiuto i primi studi presso il seminario di Torino per poi giungere all’altare presso il seminario di Alessandria. Presbitero nel 1891, l’anno successivo venne nominato viceparroco di Santa Maria di Castello. Cappellano del manicomio, docente in seminario, nel 1897 divenne canonico prevosto della chiesa del Carmine. Nel 1929 fu nominato canonico onorario della Cattedrale di Alessandria e nel 1937 canonico effettivo. Il 19 febbraio 1953 morì nella sua umile stanzetta di via Guasco. La data fondamentale per la nascita del ricreatorio è però il 1914 quando l’allora prevosto acquistò al prezzo di favore di 3781 lire un piccolo terreno da fabbricare e realizzò l’oratorio giovanile (come ci spiega nell’intervista qui sotto l’ex “fanciot” Silvestro Castellana). Molti di coloro che nacquero tra l’inizio e la metà del Novecento frequentarono quello che divenne, sotto don Stornini, un centro giovanile di grido in Alessandria. Alcuni di loro erano presenti domenica 23 febbraio a San Pio V dove nella celebrazione delle 11 si sono commemorati i 67 anni dal decesso del canonico, concludendo con una preghiera presso la tomba sita all’interno della chiesa ormai dal 1983. Il gruppo dei “fanciott” si impegna proprio per far sì che il ricordo di don Stornini venga tramandato di generazione in generazione. Uno di questi è Silvestro Castellana (nella foto qui sotto), al quale abbiamo rivolto qualche domanda.
Lei frequentava il centro ricreativo fondato da don Stornini e lo ha conosciuto bene. In che anno lei cominciò a frequentare l’oratorio?
«Iniziai a essere un frequentatore assiduo dell’oratorio attorno al 1945, appena finita la guerra. Mio padre era stato chiamato alle armi a Napoli e con la famiglia ci eravamo momentaneamente spostati lì con lui. Dopo il ritorno di mio padre da un läger tedesco dove era stato fatto prigioniero e la fine del conflitto siamo tornati ad abitare in Alessandria e da allora presi ad andare in oratorio, all’epoca sempre molto affollato».
Quali erano le particolarità di questo luogo? A cosa doveva la sua capacità di attirare cosi tanti ragazzi?
«Innanzitutto, lo si potrebbe definire un oratorio interparrocchiale, nel senso che non aveva una sola chiesa di riferimento ma in esso confluivano i giovani di varie realtà parrocchiali. In origine, il canonico Stornini lo aveva fondato nel 1914 per accogliere i ragazzi che abitavano nelle case popolari del quartiere porta Marengo, ma nel periodo in cui io lo frequentavo vi si ritrovavano persone di classi sociali molto diversificate. Nella gestione delle attività don Stornini si dimostrava molto lungimirante per l’epoca: i ragazzi godevano di molta autonomia, don Stornini era sempre presente mentre giocavamo ma lasciava che fossimo noi a organizzarci sotto il suo occhio vigile. Addirittura, il tema della celebrazione serale veniva scelto e preparato da noi. Il clima che vivevamo era già praticamente quello della chiesa post-concilio (Vaticano II, 1962-65, ndr). Dal punto di vista delle strutture, l’oratorio constava di un giardino, di un grande salone e di un palco che veniva utilizzato sia come teatro, sia come luogo in cui celebrare le messe. Alle 9 di mattina di domenica il centro si riempiva di gente di ogni tipo per la celebrazione eucaristica, nonostante non ci fosse nemmeno ancora la chiesa di San Pio V, edificata più tardi, nel 1965».
Cosa rendeva don Stornini una persona speciale tanto da meritare di essere ricordato ancora dopo tanti anni dalla sua morte?
«Era un uomo dotato di una fede fortissima, ed era in grado di trasmetterla facendoti sentire sempre la bontà d’animo di cui disponeva. Molto sensibile alle esigenze altrui e generosissimo, soleva ad esempio donare a chi era più povero di lui le paia di scarpe che alcune famiglie gli regalavano, e quindi andava sempre in giro con calzature rattoppate qua e là! Era dotato di grande fermezza e se serviva era anche intransigente con i suoi giovani, ma sempre nel loro bene. Profondissime erano le confessioni con lui: si traducevano in un dialogo intimo con il sacerdote, che era in grado di farti veramente capire l’amore di Gesù, da lui sottolineato anche nelle semplici ma incisive omelie. Infine, basterebbe a renderlo una persona speciale la sua completa devozione ai giovani che ebbe fino alla morte».
Qual è la connessione tra il centro “Don Stornini” attualmente situato tra via Morbelli e via Sclavo e l’oratorio fondato dal canonico?
«Le due realtà sono collegate solo indirettamente: don Angelo Spinolo, attorno al 1967, volle concentrare le attività ludico-sportive della neonata comunità di San Pio V nell’attuale centro che venne intitolato a don Stornini. Ai tempi in cui io frequentavo l’oratorio, invece, l’oratorio in questione si trovava al posto dell’attuale parrocchia di San Pio V ed era stato dedicato all’allora beato (ora santo) Domenico Savio».
La Fondazione di cui lei è presidente di cosa si occupa?
«Abbiamo avuto un ruolo attivo nella traslazione della salma di Stornini all’interno della parrocchia di S. Pio nel 1983, e nello stesso anno abbiamo pubblicato il libro “Don Stornini e i sö fanciott”. Ora il nostro principale obiettivo è semplicemente quello di divulgare la storia di don Stornini e parlarne ai ragazzi soprattutto, in modo tale che non si dimentichino le tante cose buone che fece per tutta la zona di porta Marengo ad Alessandria. A tale scopo, abbiamo coinvolto a far parte del gruppo anche i discendenti di alcuni “fanciott”, che potranno così a loro volta tramandare ciò che hanno ascoltato dai più anziani».
Marco Lovisolo