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«Ho visto i miei colleghi piangere al telefono per aiutare chi ha perso un caro»

Intervista a Marco Bagliano della ditta di imprese funebri

«Sono stati mesi che non ci saremmo mai aspettati di vivere». A parlare è Marco Bagliano, 35 anni, della nota ditta di imprese funebri alessandrina di via Giuseppe Parini 6. Oggi Marco, accompagnato da Davide, costituisce la quarta generazione della famiglia Bagliano, fiore all’occhiello della nostra città dal 1922. La sua voce è ancora emozionata mentre ricorda queste settimane difficili, dove lui e i suoi colleghi hanno cercato (e cercano) in ogni modo di stare accanto alle famiglie che subiscono un lutto. Un lavoro non semplice, che con l’emergenza sanitaria si è complicato ancora di più. Il numero dei decessi che cresceva, la paura di contrarre il virus, le tantissime famiglie da consolare e accompagnare in una fase così delicata della vita, non hanno fermato l’azienda alessandrina che si è unita e ha continuato con passione a svolgere il proprio lavoro.

Bagliano, sono mesi difficili questi…
«Dall’oggi al domani ci siamo ritrovati a dover cambiare il nostro modo di lavorare e di accompagnare le famiglie. Le difficoltà maggiori, infatti, riguardano il lato emotivo. Non è stata data la possibilità di dare un ultimo saluto ai propri cari, né tantomeno un funerale degno, se non la Liturgia della Parola al cimitero. Tutto questo non ha consentito una rielaborazione del lutto. Prima organizzavamo un percorso di condivisione del dolore, partendo dalla casa funeraria dove i patenti potevano dare un ultimo saluto, proseguendo con il funerale in chiesa con familiari e amici, e infine la sepoltura al cimitero. Oggi, tutto questo non è stato possibile».

Ecco, come avete reagito all’inizio?
«Umanamente è indescrivibile. La paura a un certo punto ha preso il sopravvento, abbiamo lavorato con casi di Covid-19 certi, e qualsiasi cosa toccavi avevi la paura di poter essere infettato. Ma l’azienda si è unita, nessuno dei ragazzi che lavorano con noi si è mai tirato indentro».

Come è cambiato il vostro lavoro?
«L’organizzazione avviene tramite email, WhatsApp, o videochiamate su Zoom. Oltre ai nostri servizi di onoranze funebri, le famiglie ci chiedono anche di fare controllo dei dati anagrafici. Ora per ora diamo tutte le informazioni: da quando andiamo a prendere il defunto, fino alla cremazione. Questo è davvero apprezzato, perché dalla quarantena condividiamo con loro questo momento così delicato. Qui mi permetto di aggiungere una cosa…».

Certo, dica pure.
«In questo la disponibilità dei parroci è fondamentale. Nei momenti di difficoltà ci si aggrappa anche alle piccole cose, e anche solo vedere da lontano il prete della propria parrocchia rappresenta un punto fermo. Bisogna sapere che ci sono nuclei familiari profondamente colpiti, con due, tre o anche quattro lutti. Sono situazioni psicologiche delicate… Abbiamo avuto anche un aumento di messaggi di condoglianze online, che pubblichiamo sul nostro sito. Ovviamente in questa situazione d’emergenza ci sono anche i decessi non legati al coronavirus. Le persone si sono trovate a dover affrontare un lutto non connesso al virus, ma in realtà è come se lo fosse. Perché la modalità con cui viene “trattato” il defunto è la stessa».

Sono aumentati i numeri delle persone che si rivolgono a voi? E da quando?
«Abbiamo iniziato ad avere una strana sensazione verso metà e fine febbraio. Certo, possono capitare momenti con più mortalità, ma sentivamo qualcosa di strano. A un certo punto ci siamo ritrovati a dover servire un numero di persone per cui non eravamo preparati. C’erano settimane che dovevamo gestire il doppio o il triplo dei defunti della settimana precedente. Molte volte, essendoci più lutti nella stessa famiglia, si fa fatica ad avere degli interlocutori. Capite bene che se in un nucleo familiare di tre persone, i due coniugi sono intubati e il figlio è in terapia intensiva, se viene a mancare una persona è difficile comunicare con qualcuno di stretto».

Vi sta cambiando personalmente questa situazione?
«Ognuno di noi ha cercato di crearsi delle “difese mentali”, cercando dei pensieri positivi. Io ho trovato conforto nella mia famiglia e nei mie figli: in piena emergenza Covid-19 è nato il mio secondo bambino, e questo mi ha dato la forza di andare avanti. In mezzo a una tristezza immensa, in mezzo alla tragedia, la vita va avanti».

Avete trovato conforto tra colleghi…
«Assolutamente, la forza ce la siamo data a vicenda, l’uno con l’altro, in ufficio. In certi momenti piangere insieme ha aiutato a poterci sfogare. Il mestiere che facciamo è consentire alle famiglie di superare un passaggio della vita così difficile, e devo dire che in questa situazione ci stiamo rendendo conto di quanto sia importante e di valore il nostro lavoro».

Un’immagine di questi mesi che porta nel cuore.
«Ho l’immagine dei miei colleghi… Chi ha pianto al telefono con i familiari di chi ha perso un caro, cercando in ogni modo di dare un supporto emotivo. Chi ha apparecchiato la tavola e preparato la cena per una persona anziana a cui avevamo portato via il coniuge da poco. Ma anche chi ha lavorato giorno e notte, dormendo su una sedia. Sono persone, alcune con alle spalle 20 o 30 anni d’esperienza in questo settore, che non si sono tirate indietro nemmeno in questo momento così complicato».

Saremo migliori dopo questa emergenza?
«Dovremmo per prima cosa chiederci: “Cosa ci fa essere felici?”. Forse la risposta è la normalità. Allora dobbiamo partire da quello che ci siamo costruiti e crederci fino in fondo, senza guardare gli altri. Bisogna ritrovare i nostri valori: una vita fatta meno di immagine e social, e più di realtà, emozioni e problemi, che risolti ci danno la forza per andare avanti».

Alessandro Venticinque

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