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Giulio Claro, il giurista alessandrino del Cinquecento

“Alessandria racconta” di Mauro Remotti

Giulio Claro nasce ad Alessandria il 6 gennaio 1525 dai nobili Giovanni Luigi e Ippolita Gambaruti. Seguendo la tradizione familiare, intraprende gli studi in legge a Pavia, che perfezionerà in seguito a Bologna. Tra i suoi maestri sono da annoverare l’umanista Andrea Alciato e gli accademici Niccolò Belloni, di origine monferrina, e Jacopo Mandelli. Ritornato ad Alessandria, inizia un’intensa attività consulenziale che lo porta a occuparsi di delicate questioni politico-legali. Redige, altresì, diverse opere giuridiche tra cui una monografia sul duello.

Il suo lavoro più importante, oggetto di numerose ristampe, è senza dubbio la compilazione delle “Sententiae receptae”, attraverso cui Claro pone le basi teoriche del diritto penale in Europa. Il testo prende in esame anche tematiche di diritto civile e feudale. La parte inerente al diritto criminale è contenuta nel “Liber quintus”, che tratta, in ordine alfabetico, di venti reati ricorrendo alle opiniones comuni dei dottori, ai riferimenti normativi romani, statutari e canonistici, ma soprattutto, come rileva Gian Paolo Massetto nel libro Saggi di storia del diritto penale lombardo (secc. XVI-XVIII), alle consuetudini di giudizio dei tribunali. Intanto, percorre rapidamente parecchi gradi nelle magistrature. Nel 1556 entra a far parte del Senato di Milano, grazie anche all’appoggio prestato alla sua candidatura da parte del consiglio degli anziani di Alessandria.

Due anni più tardi, partecipa al giudizio di sindacato sul podestà di Cremona, dove diventa pretore nel periodo 1559-1561, svolgendo non soltanto compiti giudiziari, ma fronteggiando pure una durissima carestia. Per questo motivo si guadagna la riconoscenza della popolazione, che fa erigere una statua in suo onore. Nel 1563 viene nominato presidente del magistrato straordinario delle Entrate. Fausto Bima, nella celeberrima “Storia degli Alessandrini”, evidenzia che quanto Claro sostiene di sé stesso ritrae bene le qualità della sua casta: «…Perché gli offici che a altri sogliono essere di utile a me sono di danno, volendo io più tosto esser povero che con l’indebito guadagno dishonorar me e la patria mia…».

La morte lo coglie improvvisamente a Cartagena, il 13 aprile 1575, nel corso di un viaggio verso Genova su incarico del re di Spagna Filippo II. Le spoglie vengono portate a Milano per una degna sepoltura nella chiesa di Santa Maria della Pace dei minori osservanti di San Francesco. La città di Alessandria gli ha intitolato una via che va da corso Lamarmora a largo Bistolfi.

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