“La testa e la pancia” di Silvio Bolloli
Non si può certo dire che il munifico presidente dell’Alessandria Luca Di Masi non le abbia provate tutte. Infatti, nei quasi otto anni da quando è approdato ad Alessandria, ha veramente tentato tutto il “tentabile”: si è affidato a tecnici dal gioco apparentemente moderno e dinamico (Scienza, Marcolini e lo stesso Gregucci), o a neofiti totali (Stellini), o a vecchie bandiere del calcio alessandrino (di nuovo Gregucci, Scazzola e Notaristefano), oppure ancora ad autentici volponi della categoria (Braglia).
Quasi sempre è stato tradito dall’impazienza che lo ha spinto a cambiare allenatore all’inizio della stagione anche quando quello con cui aveva concluso quella precedente non aveva per nulla lavorato male (Gregucci, Marcolini e Colombo), salvo poi arrendersi all’idea della continuità, proprio quest’anno con Angelo Gregucci, per poter dare un po’ di stabilità al suo progetto… E come è andata a finire è circostanza notoria.
Quanto ai direttori sportivi, il nostro si è affidato a soggetti di esperienza, molto bravi nel comprare il meglio dalla piazza (il nome Magalini dice qualcosa?), oppure a giovani rampanti (leggasi Pasquale Sensibile) per poi, anche qui, finire col pescare tra le bandiere del calcio giocato (Fabio Artico). Anche in questo caso i risultati hanno latitato sia che si fosse scelto il top del mercato (Gonzalez e Iocolano degli anni d’oro), o che si fosse puntato sui ragazzi del famigerato “progetto giovani” o che, più semplicemente, si fosse guardato alla solidità, all’esperienza ed alla competenza di uomini quali quelli dell’odierna rosa.
In ogni caso il risultato non è arrivato: i Grigi non sono mai riusciti a dominare un campionato, anzi, quando l’hanno fatto, hanno subito una rimonta da guinness dei primati e, alla fin fine, hanno portato a casa il trofeo di minore importanza (la Coppa Italia di Serie C), unitamente un pezzetto di storia (la semifinale di Tim Cup col Milan) senza mai ottenere l’agognata promozione in una serie superiore che latita da quasi mezzo secolo, mentre provinciali assai meno blasonate quali Crotone, Sassuolo e Carpi (tanto per citare le più celebri) o acerrime rivali (Spezia) hanno addirittura guadagnato il massimo palcoscenico della Serie A.
Avremo altre opportunità per individuare cause e rimedi di una simile situazione a fronte dei cospicui sforzi impiegati praticamente in tutte le direzioni, ma già oggi potremmo provare ad individuare due possibili risposte: la prima è che quando si prova in tutti i modi, si spende così tanto e si continua a non vincere è evidente che la continuità resta la principale lacuna. Quanto alla seconda, se da un lato il presidente dovrebbe interrogarsi su quanto poco lontano lo abbia portato la sua bulimia di successi, dall’altro dovrebbe domandarsi in che misura gli allenatori e i dirigenti che lo hanno accompagnato in tutti questi anni siano stati scelti bene e fino a che punto abbiano potuto effettivamente esprimere il loro talento.