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«Pronto, sono Francesco»

Le storie di Voce

La storia di Michele Ruffino (in foto qui sotto), il 17enne di Rivoli che nel 2018 si è suicidato perché vittima di bullismo, è uscita sul numero di Voce del 25 febbraio, lasciando tutti commossi: noi della redazione, in primis, e poi anche molti nostri lettori. Vi avevamo raccontato della sua grande sofferenza: Michele, sin da bambino, soffriva di ipotonia agli arti superiori e inferiori, causata dalla somministrazione di un vaccino scaduto. E per via della sua camminata instabile, veniva continuamente deriso dai compagni di scuola o dagli “amici” dell’oratorio.

Tutto questo ce lo aveva raccontato la mamma, Maria Catrambone Raso: una donna forte che, anche dopo la morte del figlio, non si è arresa e ha fondato l’associazione “Miky Boys”, che dal 2018 si impegna contro il bullismo. Al termine di quell’intervista Maria ci aveva confidato il grande desiderio, mai avverato, di Michele: incontrare papa Francesco. Le abbiamo così chiesto di scrivere la sua storia in una lettera indirizzata al Pontefice; e noi, attraverso i nostri canali, siamo riusciti a farla recapitare nelle mani del Santo Padre. Passato qualche giorno, la mamma di Michele riceve una telefonata inaspettata. Era venerdì 19 marzo, festività di San Giuseppe. All’altro capo del filo, per così dire, c’era proprio papa Francesco.

Maria, come ti senti dopo aver parlato con il Papa?

«Una sensazione indescrivibile, ancora oggi dopo giorni sento la sua voce nelle orecchie. Siamo stati 15 minuti al telefono, lui si fermava e mi ascoltava, poi mi dava conforto. Sempre con voce pacata, si è fatto vicino e mi ha parlato. Sono stati minuti di pianto e gioia, un insieme di emozioni immense. Da venerdì sento una serenità interiore che non riesco a spiegare».

Partiamo dall’inizio: squilla il cellulare…

«Venerdì alle 11.50 mi stavo cambiando per andare al cimitero, squilla il telefono e appare un numero privato. All’inizio non volevo rispondere, pensavo fosse qualche call center. Poi mi sono decisa e ho risposto».

Dall’altra parte del telefono, direttamente dal Vaticano, c’era il Santo Padre.

«Ho sentito la voce di una persona anziana: “Buongiorno, è la signora Catrambone Raso Maria?”. Ho detto: “Sì, mi scusi, ma lei chi è?”. Dopo qualche istante risponde: “Sono papa Francesco”. Guarda, a pensarci, ancora adesso ho la pelle d’oca…».

Non riuscivi a crederci?

«Continuavo a domandargli: “È uno scherzo?”. Così, ho iniziato a raccontare la storia di Michele, lui mi ha detto: “Un ragazzo a quell’età non può morire di bullismo”. Poi mi sono fermata e gli ho chiesto di nuovo se davvero era lui. Sentivo che citava più volte la lettera, e allora ho incominciato a crederci. Per la terza volta gliel’ho ripetuto: “Papa Francesco, mi dica se è davvero uno scherzo?”. Lui mi ha tranquillizzata: “Sono io”. Poi abbiamo parlato del bullismo, lui l’ha definito “una piaga profonda, soprattutto oggi”. E mi ha detto: “Le racconto un episodio: questo è un tema che porto nel cuore, perché quando eravamo piccoli, in Argentina, anche due miei cari amici hanno sofferto di bullismo”».

Avete parlato anche del sogno di Michele?

«Sì, nella lettera gli ho raccontato che, qualche anno fa, tutti i cresimandi della parrocchia di Michele si erano recati in piazza San Pietro per incontrare proprio il Santo Padre. Tutti, tranne Michele, perché “avrebbe rallentato il passo degli altri” dissero le catechiste. E a proposito di questo mi ha chiesto: “Ma chi erano questi deficienti che hanno detto a Michele che rallentava il gruppo?” (sorride). Gli ho spiegato che Michele era molto credente, e che dopo il viaggio a Lourdes aveva ripreso anche a camminare. Lui mi ha chiesto di continuare a pregare».

Questa telefonata è arrivata in un giorno speciale, la festa di San Giuseppe. È un caso?

«San Giuseppe mi ha fatto un grande regalo, non è un caso che la chiamata sia arrivata proprio nel suo giorno. In questi tre anni sai quante lettere avevo mandato al Papa? Ma tutto questo è avvenuto soprattutto grazie a voi, non so come ringraziarvi… Questo regalo sicuramente mi darà più forza per il futuro. Da venerdì sto affrontando le mie giornate con più serenità. Penso a quella telefonata, e mi sento protetta: il Papa ha chiamato me, che non sono nessuno. Solo al pensiero mi commuovo (piange, ndr). Appena finita questa pandemia andrò in Vaticano per abbracciarlo».

E poi?

«Poi gli ho raccontato della mia battaglia per ottenere giustizia e delle nostre attività con l’associazione. Mi ha detto di continuare e andare avanti, anche per essere di aiuto ad altri ragazzi. Alla fine l’ho supplicato: “Papa Francesco preghi per noi, affinché la nostra famiglia trovi serenità.” E lui, prima di salutarmi, ha detto: “Non si preoccupi, le mando un grande abbraccio e… ricordatevi di pregare per me”».

Alessandro Venticinque

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