Il nuovo Motu proprio “Antiquum ministerium”
Don Vittorio, perché un “Motu proprio” su questo argomento?
«Non posso rispondere, bisognerebbe chiederlo al Santo Padre (sorride). Dico però che fin dal suo documento programmatico “Evangelii Gaudium” papa Francesco ricorda a tutta la Chiesa la necessità di farsi portatrice dell’annuncio cristiano. Questo Motu proprio sottolinea come già da tempo, dal Concilio Vaticano II in poi, ci sia una sempre più viva coscienza della peculiarità del ministero laicale del catechista. All’inizio, probabilmente, visto come una “supplenza” rispetto al compito di sacerdoti e consacrati (ma direi soprattutto consacrate), e successivamente come la consapevolezza di un vero servizio laicale all’interno della comunità».
Il Pontefice nel Motu proprio ci mette in guardia dal rischio di una “clericalizzazione” dei laici…
«In realtà questo è un “leitmotiv” di papa Francesco. Ma non va preso come una sua fissazione, perché è un modo per condurci a comprendere profondamente la realtà e l’identità della Chiesa. È un richiamo ai laici, affinché vivano pienamente il loro sacerdozio battesimale e in particolare, in questo caso, il “ministero profetico” che riguarda la capacità di ascoltare, vivere e proclamare la Parola nei diversi contesti di vita».
Il Papa prevede anche un “Rito di istituzione”. Di che cosa si potrebbe trattare?
«Dal punto di vista liturgico sarà presumibilmente simile all’istituzione degli altri ministeri, come il lettorato e l’accolitato, servizi ecclesiali che almeno dalle nostre parti non siamo abituati a vedere “istituiti”. Basti pensare che quasi tutti i lettori delle nostre liturgie non sono mai stati istituiti… Credo, in questo senso, che per le nostre comunità questo ministero del catechista potrebbe essere una provocazione, nel significato etimologico del termine».
Una provocazione?
«Il compito del catechista è una vera e propria chiamata, e non solo perché “mi ha chiamato il parroco in oratorio” (sorride)… è tutta la comunità a sentirsi chiamata a trasmettere la fede valorizzando al suo interno il carisma e l’impegno di persone che assumono questo compito in maniera permanente».
Al punto 8 del Motu proprio il Papa chiede che i catechisti e le catechiste «ricevano la dovuta formazione biblica, teologica, pastorale e pedagogica per essere comunicatori attenti della verità della fede». Chi fornirà questa formazione?
«Chiaramente il compito è di tutta la Chiesa diocesana. Come ricorda il Papa, il vescovo è il primo catechista della diocesi. Nei nostri organismi il Servizio per la Catechesi è incaricato della formazione, iniziale e permanente, dei catechisti. E in effetti in questi anni ci sono state proposte formative ad ampio raggio, anche per i temi che il Santo Padre cita nella sua Lettera. Manca ancora una “istituzionalizzazione” dei percorsi, che però non comporta soltanto la programmazione di corsi abilitanti, ma anche una consapevolezza maggiore nei nuovi catechisti e nei parroci che rivolgono loro questa “vocazione”».
Una domanda si impone: gli attuali catechisti delle nostre parrocchie sono dunque “scaduti”? Dovranno aggiornarsi, o che altro?
«Non bisogna avere uno schema rigido, come se la comunità fosse un’azienda con i suoi quadri e i suoi corsi di formazione. Occorre anche riconoscere l’impegno e la dedizione di molti catechisti che in diversi casi, con spirito di iniziativa, hanno approfondito le loro conoscenze e capacità. Non penso al ministero del catechista come a qualcosa a cui si accede per titoli ed esami, anche se è vero che adesso il Papa ci sprona a un cambiamento, sia dal punto di vista della formazione sia nel rapporto con la comunità. Non dobbiamo però pensare il ministero del catechista in termini di delega consegnata a qualcuno affinché trasmetta la fede: si tratta di riconoscere una specificità, certo, ma insieme di ricordare che l’annuncio e la testimonianza sono compito di ogni cristiano, nei diversi contesti di vita e nei confronti di ogni persona, più o meno credente, e di qualunque età. Come dice il “Rinnovamento della Catechesi”, documento di base del progetto catechistico italiano, “prima sono i catechisti e poi i catechismi; anzi, prima ancora, sono le comunità ecclesiali. Infatti come non è concepibile una comunità cristiana senza una buona catechesi, così non è pensabile una buona catechesi senza la partecipazione dell’intera comunità”».
Andrea Antonuccio
Leggi anche:
-
Papa Francesco apre alle donne
-
Otto anni di papa Francesco
-
«Pronto, sono Francesco»: il Pontefice chiama Maria, la mamma di Michele Ruffino
-
Monsignor Gallese: «Laici e donne: scrissi al Papa e lui… mi chiamò al telefono!»
-
Il Papa annuncia 13 nuovi cardinali