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L’interVista a mons. Guido Ottria

Il Natale è ormai prossimo e la nostra intervista vuole ricercare le ragioni di una festa che si ripete da oltre venti secoli. Abbiamo chiesto a monsignor Guido Ottria, classe 1924, alcune impressioni mutuandole dai suoi ricordi.

Come era il suo Natale da bambino?

Abitavo a Gamalero, c’era sempre tanta neve e i ghiaccioli pendevano dai tetti. In chiesa faceva molto freddo. Si cantava Regem venturum Dominun mentre il parroco si scaldava le mani sopra uno scaldino sull’altare per poter prendere il calice che era gelato. L’anno che era sfollato il professor Luigi Migliazzi, il violinista, ha accompagnato la Messa di mezzanotte con il violino: un cosa eccezionale.

La gente partecipava alla Messa?

Si, abbastanza. Anche alla novena del Natale. Poi, arrivando a casa dopo la messa di mezzanotte trovavo l’albero di Natale con appesi un po’ di mandarini, che erano un grande regalo. C’era anche il presepe, molto semplice, con le statuine tutte in fila verso la capanna.

Invece, la cosa bella era la Befana dei postelegrafonici che si svolgeva in Alessandria con dei regali per i figli dei dipendenti (la mamma di don Guido era impiegata all’ufficio postale, ndr). Mi ricordo, in particolare, di aver ricevuto un trenino elettrico.

E il pranzo di Natale?

Molto semplice e frugale ma conservo il ricordo di un particolare: si teneva un pezzo di pane del pranzo di Natale perché la credenza era quella di utilizzarlo quando uno annegava nell’Orba come strumento di ricerca del corpo perché il pezzo di pane avrebbe raggiunto il mulinello del gorgo dove il malcapitato era finito dentro.

E il Natale da seminarista?

Andavamo in duomo per la messa di mezzanotte e poi si andava a casa. Il Vescovo Gagnor, però, celebrava tre messe consecutive e noi seminaristi dovevamo rimanere.

Nella società di allora com’era il Natale?

Era abbastanza sentito e partecipato.

E nella prima comunità parrocchiale affidatale?

Ho cominciato qui, a San Paolo, con una comunità molto vivace, che oggi è l’unico centro di convergenza del quartiere.

Per don Guido cos’è il Natale e cosa dovrebbe essere per i credenti?

Pensavo in questi giorni al Natale e ho preso questo libro di poesie dove le cose più belle le hanno dette i nostri artisti, i nostri poeti, con semplicità. Cito specialmente Raoul Follerau con una poesia del 1977: “Se Cristo domani busserà alla vostra porta, Lo riconoscereste? Sarà, come una volta, un uomo povero, certamente un uomo solo. Sarà senza dubbio un operaio, forse un disoccupato, e anche, se lo sciopero è giusto, uno scioperante. Salirà scale su scale, senza mai finire. Ma la vostra porta è così difficile da aprire. «Non mi interessa» comincerete prima d’ascoltarlo.

E sbatterete la porta in faccia al povero che è il Signore. Sarà forse un profugo, uno dei quindici milioni di profughi con un passaporto dell’ONU, uno di coloro che nessuno vuole, e che vagano un questo deserto che è diventato il Mondo; uno di coloro che devono morire «perché dopo tutto non si sa da dove arrivino persone di quella risma…». O meglio ancora, in America, un uomo nero, un negro come dicono loro, stanco di mendicare un buco negli alloggi di New York, come una volta a Betlemme la Vergine Nostra Signora…

Se Cristo, domani, busserà alla vostra porta, Lo riconoscereste? Arrivano come arriva Gesù, spossato, abbattuto, annientato perché deve portare tutte le pene della terra. Si dà lavoro a un uomo così prostrato? E gli si chiede cosa sai fare. Non può rispondere “tutto”. Donde vieni? “Non può rispondere “da ogni dove”. Cosa pretendi di guadagnare? Non può rispondere. Allora se ne andrà più abbattuto, più annientato con la pace nelle sue mani nude”. È una poesia scritta nel 1977 ma è estremamente attuale.

Ma allora non abbiamo tradito il significato del Natale?

Dice bene un’altra poesia di Giuseppe Fanciulli Il dono più bello. “Che ti ha portato il Bambino? Un aeroplano che vola, tre arance, un burattino e la cartella di scuola con i libri. Poi accosta al mio letto un nuovo grazioso vestito. Nient’altro il Bambino ti ha offerto?. Nient’altro ti ha fatto gioire? È molto mi pare ma certo qualcosa ancora ho da dire. Ho dentro al cuore un bel dono: Dio solo, Dio solo lo sente, la voglia di esser più buono.” Ecco il Natale, la voglia di esser più buono. Gesù che ti viene a mettere la sua bontà nel cuore.

E poi c’è l’altra di Clemente Rebora che dice “Egli è il bimbo venuto a rapire quel che c’è di materno nel cuore di pietra dell’uomo.” Dobbiamo tirar fuori i sentimenti buoni sepolti nel cuore di pietra. Per Natale bisogna intenerire il cuore. Gesù ha voluto un papà e una mamma che si volessero bene e il Papa scrive nell’Amoris lætitia “Natale profuma di famiglia”. Gesù ha voluto nascere in una famiglia, nell’affetto famigliare di due sposi innamorati, che si volevano bene e gli hanno voluto bene con un amore umano autentico. Quindi Natale è questa pienezza di affetti.

L’hanno travisato ma è sentito il Natale, c’è qualcosa di autentico per tutti nel Natale.  A volte siamo distolti dal consumismo che ci avvolge e ci abbaglia con le sue luci però quello non è il Natale. Il Natale è risvegliare gli affetti stando insieme.

Qual è l’augurio che rivolge ai lettori di Voce?

Che sappiano capire la gente e ad aiutarla nei veri valori della comunità, della famiglia.

Marco Caramagna

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