“Buongiorno, sono il cardinale”. Ci accoglie così, con una voce cordiale e pulita, Sua Eminenza Reverendissima Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e già Presidente della Cei. Abbiamo un quarto d’ora per fargli un’intervista, in una giornata che per lui, ci pare di capire al telefono, sarà piena di impegni pastorali. Proviamo a partire dalla sua esperienza con gli scout, dal 1969 al 1996. “Ho trascorso più di 25 anni nello scautismo, da giovane sacerdote fino alla vigilia del mio episcopato. E pensare che da bambino non avevo fatto lo scout. Nella mia parrocchia c’era l’Azione cattolica, esperienza bella a cui ho partecipato con pienezza e soddisfazione”.
Eminenza, che cosa le ha dato il metodo scout?
Per me è stata un’esperienza molto bella, in termini educativi, di servizio e per la continua formazione di un giovane sacerdote quale io ero. È stata una scuola di pazienza. Quando sono arrivato non sapevo niente, ma con calma e con umiltà ho ascoltato e ho cercato di capire.
Quale aspetto del metodo l’ha colpita, e la colpisce, di più?
La strada sicuramente, con tutta la simbologia e l’esperienza di fatica e impegno, ma anche di fiducia. E poi l’adattamento, piantare e spiantare la tendina nelle route di tutti i giorni. E infine l’emozione, le mille suggestioni che la strada in qualunque tempo e situazione suggerisce all’anima. Ma anche una fraternità che si costruisce andando avanti. È un trovare sempre i punti di equilibrio per camminare insieme.
Nella sua esperienza con gli scout genovesi Lei ha “incrociato” il nostro vescovo, monsignor Gallese. Ricorda qualche episodio particolare?
Ne scelgo uno dove c’era anche lui, ma che riguarda tutto il clan di quel tempo.
Eravamo in montagna in mezzo a grandi placche di neve: non sapevamo più dove eravamo, era ormai scesa la sera. E quanto più la sera scendeva, tanto più la coda dei rover delle scolte si è compattata, è calato il silenzio. Non lo dimenticherò mai. Me ne viene in mente un altro: scendevamo da un ghiacciaio sopra Domodossola, e al ritorno per fare prima sono andato fuori pista guidando la colonna. Io avevo la picozza e sondavo il terreno per verificarne la solidità.
A un certo momento la mia picozza è sprofondata, sia a destra che a sinistra. Tutti se ne sono accorti… la Madonna ci aveva guidato nell’unico punto su cui si poteva camminare, salvandoci. E da lì… dietrofront!”
Che cosa pensa del fatto che i giovani a un certo punto, solitamente dopo la Cresima, si allontanano dalla Chiesa?
Direi due cose. La prima è di carattere generale: il mondo è cambiato e continua a cambiare. Questo vuol dire che il modo di pensare è sempre più individualista, per tutti, e spinge sempre più a vivere facendosi i fatti propri. Come se i legami, di qualunque natura, fossero contrari al proprio slancio vitale e alla propria libertà individuale, anziché essere una ricchezza enorme! Perché non mi impediscono di essere libero, anzi, mi insegnano a essere veramente libero. Libero, cioè fedele alla parola data, all’onore, e non ‘ballerino’, seguendo solo i miei impulsi: se ho voglia di andare a Messa vado, altrimenti no. Ecco, questa è l’aria che respiriamo. Il mondo della interconnessione ha grandi opportunità, ma favorisce rapporti virtuali, che hanno una consistenza relativa.
Questa è una grande ora, è l’ora del risveglio
Ma è solo una questione culturale e sociale?
No, c’è un altro elemento di carattere ecclesiale: tutti noi, in particolare i ragazzi, abbiamo bisogno di toccare con mano delle relazioni belle. Sembra contraddittorio rispetto a quello che ho detto prima, ma nel cuore ogni persona ha il desiderio di vivere insieme. Non come branco, che è una deformazione: ma come persone che imparano a conoscersi, stimarsi, sopportarsi e così costruiscono qualcosa di bello. Dopo la Cresima, ma anche prima, i ragazzi non devono sentirsi in un deserto di rapporti. Dovrebbero avere un gruppo di riferimento, che poi deve continuare. Un gruppo, una compagnia, può reggere però solo dove è presente la catechesi. A mio avviso, nello scautismo deve essere coltivata di più, e in maniera non occasionale. La fede non è un insieme di emozioni belle: la croce di Gesù non è un insieme di suggestioni. La catechesi dura tutta la vita, e quanto più entra e mette radici tanto più la nostra vita diventa come quella di Gesù. Lo stesso servizio, che è componente dello scautismo, o si alimenta alla catechesi e ai sacramenti o non regge per molto.
Dal 1980 al 1998 Lei ha insegnato Metafisica e Ateismo contemporaneo presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, a Genova…
Quello di ateismo contemporaneo era un seminario annuale, con il compito di introdurre gli studenti al fenomeno dell’ateismo contemporaneo. Di anno in anno facevo una introduzione generale sull’ateismo nelle sue radici antiche e nelle sue trasformazioni moderne, scegliendo autori moderni, testi conciliari o di autori cristiani che trattavano il tema. Su uno o due di questi testi di autori scelti (ricordo Sartre o Camus, per esempio) tenevo il resto delle lezioni. Nel frattempo gli studenti mi proponevano un loro argomento scritto, e nei mesi che rimanevano svolgevano l’argomento scelto e poi me lo consegnavano alla fine dell’anno.
Noi oggi viviamo in una società atea?
Oggi viviamo l’ateismo pratico, il peggiore di tutti. Quello teorico non esiste praticamente più, e quello che stiamo vivendo è un vivere come se Dio non ci fosse. È una indifferenza alla dimensione religiosa, ma che molto spesso coincide con l’indifferenza alle grandi questioni dell’uomo: chi sono io? Dove vado?
Conseguenze di questo ateismo “pratico”?
Penso alle leggi che uno Stato si dà, per esempio. Di facciata, vogliono rispettare la libertà di ciascuno. In realtà spesso nascondono un disinteresse da parte della società e dello Stato rispetto a situazioni difficili, che vengono ribaltate sulle spalle dell’individuo, e di cui la società non vuole più occuparsi. Con le conseguenze che possiamo vedere tutti.
Può dirci una parola positiva sulla situazione attuale, così difficile e drammatica?
Lo dicevo in una parrocchia ieri sera: viviamo in un’epoca in cui la cronaca vorrebbe distruggere la speranza. L’angoscia circola in tutta Europa, c’è il terrorismo, ci sono leggi distruttive dell’umano, è tutto il contrario di una società solidale. Però, dicevo, questa è una grande ora. Noi viviamo una grande ora: questo è il tempo del risveglio, perché si fa impellente la domanda: dove stiamo andando, dove va il mondo? Ecco, questa è una domanda bellissima, straordinariamente grande. Vuol dire che la coscienza individuale si sta risvegliando, scossa da questa situazione che vuole deprimerci. Ma dove va il mondo? Bisogna coltivare e favorire questa domanda, perché riguarda innanzitutto me. Lo scautismo si può inserire in questo momento importante, per aiutare le domande fondamentali di ognuno di noi a risvegliarsi. E ritrovare i sentieri luminosi dove Dio ci aspetta.
Il 26 settembre 2006 è stato eletto Presidente della Conferenza Episcopale Ligure.
Il 7 marzo 2007 è stato nominato dal Santo Padre Benedetto XVI Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.
Il 29 giugno 2007, nella Basilica Vaticana, ha ricevuto dal Santo Padre il pallio di Metropolita durante il pontificale dei Santi Pietro e Paolo.
Il 24 novembre 2007, è stato creato Cardinale di Santa Romana Chiesa dal Santo Padre Benedetto XVI.
Il 30 settembre 2011 è stato eletto Vice Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee per il quinquennio 2011-2016.
Il 7 marzo 2012 Benedetto XVI lo ha confermato Presidente della Conferenza Episcopale Italiana per altri cinque anni.
Nell’ottobre 2016 è stato eletto presidente del Consiglio delle conferenze dei vescovi d’Europa.
È attualmente membro della Congregazione per le chiese orientali, della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
A cura di
Andrea Antonuccio