Care lettrici, cari lettori, a volte accade di imbattersi in un libro che «colpisce» e lascia il segno. Vuoi per l’argomento, vuoi per alcune frasi che si avvertono come vere e significative. Mi è successo ultimamente con la biografia «Il mio amico Giorgio Gaber. Tributo affettuoso a un uomo non superficiale» di Gian Piero Alloisio, amico e collaboratore di lunga data del «Signor G». Tra i tanti esempi che potrei fare, vi cito questo dialogo che mi ha veramente sorpreso e affascinato: «E Gaber che [all’economista Nanni Arrighi] faceva sempre la stessa domanda: “Sì, ma tutto ciò, rende gli uomini più felici?”. “Non lo so”, rispondeva placidamente Nanni, “non è la felicità l’oggetto dei miei studi”. Ma Giorgio non mollava, mi guardava sorridendo e diceva: “Pensa che a noi interessa solo quella…”». Con il pretesto di raccontare la vita del suo amico, Alloisio (originario di Ovada) racconta la sua. Travagliatissima ma segnata, a volte inconsapevolmente, da un destino buono che via via si è svelato anche grazie a questa sete di felicità. Mi prendo la responsabilità di quest’ultima affermazione: Alloisio, che ha avuto una formazione fieramente anticlericale, non parla mai della sua conversione, ma offre al lettore alcuni indizi. Uno fra tutti, il suo voler ricevere l’Eucaristia al funerale di Gaber. Ma non è l’unico. Torniamo alla frase di prima: «Sì, ma tutto ciò, rende gli uomini più felici?». Se lo chiedeva seriamente, il Signor G. E me lo chiedo seriamente anch’io: quello che faccio mi rende più felice? Ho idea che questa domanda c’entri (e anche parecchio) con la fede.
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