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La Recensione – Stefano, servo e testimone

Nel 1981 l’arcivescovo Carlo Maria Martini tenne un corso di esercizi spirituali ai diaconi transeunti di Milano, pubblicato per la prima volta nel 1988 e ora riproposto dalle Edizioni San Paolo con il titolo Stefano servo e testimone (pp 185, euro 16). Il protagonista delle meditazioni è, in effetti, il primo martire, a partire da un curioso suggerimento pratico per favorire la concentrazione: sulla scrivania colma di carte mettere un piccolo tappeto per coprire tutto evitando le distrazioni. La sintesi del messaggio che deriva dal santo diacono, ebreo di nascita ma di origine ellenista (cioè di educazione greca) è che «l’abbandonarsi a Dio non salva dalla morte, bensì permette di passare attraverso la morte contemplando la gloria di Dio» (p. 16). Stefano si deve scontrare con la durezza di cuore, «che è l’ostacolo fondamentale alla Parola di Dio perché l’opposizione alla Parola viene dalla chiusura eretta a sistema, non da negligenza o leggerezza» (p. 42). Per questo egli «ci invita a pensare come facilmente passiamo dal dono ricevuto al bene posseduto e poi al bene strumentalizzato» (p. 47). Il volume si conclude con una riflessione sull’obbedienza: prometterla al momento dell’ordinazione significa per il chierico «entrare nell’obbedienza di Cristo al Padre» (p. 161) attraverso un atteggiamento creativo e responsabile, non alla maniera meccanica di un funzionario. Questa è l’obbedienza attiva mentre quella passiva «costituisce concretamente l’andare nel luogo che viene assegnato» (p. 164). Così «se abbiamo obbedito passivamente, anche di fronte alle avversità possiamo rimanere tranquilli sapendo che, non avendo cercato noi quella missione, il Signore ci aiuterà» (p. 165). Un’ultima nota, interessante e non scontata: la promessa di obbedienza «è anche un’alleanza, cioè un rapporto bilaterale. Il Vescovo deve vivere in stato di riverenza e di obbedienza per la persona, per il disegno di Dio in essa, per il mistero che nella vocazione si esprime. È un contratto bilaterale» (p. 166).

Fabrizio Casazza

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