“Dio è giovane”, il libro-intervista in cui papa Francesco dialoga con il giornalista e scrittore Thomas Leoncini (nel tondo), è uscito con un grande lancio internazionale il 20 marzo di quest’anno, Domenica delle Palme, in occasione della Giornata mondiale della Gioventù. Leoncini, classe 1985, studioso di modelli psicologici e sociali, aveva già conversato con Zygmunt Bauman per Nati liquidi (Sperling & Kupfer), l’ultima opera del grande sociologo morto nel 2017, tradotta in 12 lingue. Oggi ha accettato di confrontarsi in esclusiva con La Voce alessandrina, sia sul libro scritto con il Papa sia sul tema dei giovani.
Leoncini, come è nato “Dio è giovane”?
«Tutto è cominciato con “Nati liquidi”, il libro sulle trasformazioni dei giovani che ho scritto insieme a Zygmunt Bauman. Papa Francesco l’ha letto e ne è rimasto colpito. Abbiamo avuto una lunga udienza privata per discutere del libro e del pensiero di Bauman. Ho percepito subito quanto papa Francesco avesse a cuore i giovani, e quando dico giovani dico tutti, nessuno escluso. È venuto naturale cominciare a parlare della facilità con cui i giovani vengono scartati dalla società, la società li tratta come superflui, eppure sono il futuro, l’unica speranza di un mondo migliore. Ma alla nostra società pare importi soprattutto dell’utile immediato, non del futuro».
Chi è Francesco, secondo lei?
«Il più grande rivoluzionario del mondo. Un uomo senza pregiudizi che usa tutto il suo potere per farsi “umano” e per cercare di interpretare e testimoniare».
Il tema dei giovani è molto vasto. Come viene affrontato in “Dio è giovane”?
«Il libro è diviso in tre capitoli: nella prima parte, dal titolo “Giovani profeti e vecchi sognatori”, papa Francesco racconta molto della sua infanzia e della sua adolescenza, mette a nudo le sue emozioni, a partire dai ricordi intimi di Buenos Aires e traccia il percorso di salvezza della nostra società sradicata. L’alleanza per salvare il mondo sta nell’incontro costante tra i giovani, che sono profeti, e i vecchi, che sono sognatori. Il secondo capitolo si intitola “In questo mondo” e il Papa si confronta con me attraverso dei racconti di vita e di drammi quotidiani: si parla di droga, di dipendenza, di suicidio, di cambiamento climatico e soprattutto di speranza. Nel terzo capitolo, “Insegnare è imparare”, i temi sono quelli legati all’educazione. C’è una considerazione molto significativa di papa Francesco che dice: “Un buon educatore fa a se stesso, ogni giorno, questa domanda: oggi ho il cuore abbastanza aperto da farci entrare la sorpresa?”».
Come si può evitare la retorica, parlando di giovani?
«Per arrivare ai giovani penso sia necessario testimoniare, la parola da sola non basta più. I giovani sono invasi dalle teorie, hanno bisogno di pratica! Invece, per parlare dei giovani bisogna essere aperti, liberi dal pregiudizio e consapevoli di quanto sia difficile oggi essere giovani. Quella dei giovani è probabilmente la prima generazione interamente creata a immagine e somiglianza del mercato, è quella di chi è nato e cresciuto vedendo diluita ogni certezza. Qui l’unica certezza è l’incertezza, quindi la fragilità; non solo nei legami con gli altri, ma anche nel profondo di se stessi, nel precario mondo del lavoro e del welfare, sempre più privilegio piuttosto che diritto. Essere scartati è diventata la più grande paura dei giovani, spesso inconscia, poiché la società ci obbliga costantemente a “scartare”, tutto gira intorno a questa parola, sia nei negozi che nelle relazioni umane e sentimentali: anche l’amore infatti somiglia sempre più ad una lotta a chi scarta prima il vecchio per passare al nuovo; l’orizzonte è idilliaco solo perché sta per cominciare, ma anche questo nuovo inizio sarà piacevole solo finché resterà collegabile alla parola “nuovo”».
Papa Francesco: comunicatore o educatore?
«Educatore penso sia la parola giusta, ed è anche quella più importante. E lui ci educa tutti con la testimonianza del suo stupore e con l’autenticità. Un’autenticità talmente pura che dà speranza al mondo intero».
Lei ha dialogato con Bauman e con Francesco. Al di là delle differenze evidenti, ha riscontrato qualche analogia tra i due?
«Bauman e papa Francesco concordano su molti punti; il più rilevante è “il paradigma del dialogo tra le diversità”. Cito letteralmente il pensiero di Zygmunt Bauman su questo punto: “Penso che la cosa più eccitante, creativa e fiduciosa nell’azione umana sia precisamente il disaccordo, lo scontro tra diverse opinioni, tra diverse visioni del giusto, dell’ingiusto, e così via. Nell’idea dell’armonia e del consenso universale, c’è un odore davvero spiacevole di tendenze totalitarie, rendere tutti uniformi, rendere tutti uguali. Alla fine questa è un’idea mortale, perché se davvero ci fosse armonia e consenso, che bisogno ci sarebbe di tante persone sulla terra? Ne basterebbe una: lui o lei avrebbe tutta la saggezza, tutto ciò che è necessario, il bello, il buono, il saggio, la verità. Penso che si debba essere sia realisti che morali. Probabilmente dobbiamo riconsiderare come incurabile la diversità del modo di essere umani”».
L’incontro con il Papa ha cambiato qualcosa nel modo di pensare di Thomas Leoncini?
«Incontrare, dialogare, discutere, scrivere con persone come papa Francesco e Zygmunt Bauman cambia la vita».
Andrea Antonuccio