Un prelievo del sangue e un elettroencefalogramma per sapere se ci si ammalerà di patologie neurodegenerative come demenza e Alzheimer. Questa ipotesi potrebbe diventare presto realtà grazie ai risultati promettenti di uno studio condotto dai neurologi, genetisti e bioingegneri della Fondaz i o n e Policlinico universitario Gemelli Irccs di Roma – Università Cattolica, in collaborazione con l’Irccs S. Raffaele Pisana e pubblicato sulla rivista scientifica Annals of neurology. L’esame è rivolto ai soggetti che presentano un lieve declino cognitivo (mild cognitive impairment, Mci), e che proprio per questo hanno un rischio 20 volte più elevato di ammalarsi di demenza rispetto ai coetanei sani. Tuttavia, solo la metà di chi soffre di una forma di Mci svilupperà effettivamente la malattia. Ad oggi, però, per identificare le alterazioni biologiche che sono prodromiche allo sviluppo della patologia, ad esempio l’accumulo progressivo nel cervello della proteina beta-amiloide per l’Alzheimer, è necessario effettuare indagini diagnostiche piuttosto onerose come Tac, risonanza magnetica, o anche invasive, come la puntura lombare. Il test in questione rappresenta invece una metodica semplice, a basso costo, disponibile su tutto il territorio e non invasiva. Si compone di un elettrocardiogramma eseguito in modo routinario ma interpretato attraverso la teoria dei grafi, una sofisticata analisi matematica che permette di capire come sono connesse fra loro le diverse aree del cervello; e di un prelievo ematico finalizzato all’individuazione di una mutazione genetica legata al rischio di Alzheimer sul gene ApoE. L’accuratezza dell’indagine, effettuata su 145 pazienti con Mci, si è dimostrata elevata ovvero fino al 92% senza falsi positivi o false diagnosi. Sapere in anticipo se il paziente si ammalerà consentirà di anticipare il suo inquadramento terapeutico con i farmaci già disponibili e più efficaci per la fase di pre-malattia e nello stesso tempo aiuterà a sollecitare la modifica dello stile di vita, allo scopo di ridurre il rischio di demenza, di ritardare nel tempo l’esordio dei sintomi e di rallentarne la progressione. «A ciò si aggiunge il fatto che quando arriveranno i farmaci innovativi destinati alle forme «prodromiche» di Alzheimer dovremo avere lo strumento per intercettare per tempo quali sono i soggetti che certamente si ammaleranno», ha affermato Rossini, coordinatore della ricerca, direttore dell’area di neuroscienze della Fondazione Policlinico Gemelli e ordinario di neurologia all’Università Cattolica. «Il test è utilizzabile da subito nella pratica clinica, ma è previsto un suo “collaudo” all’interno di un progetto di ricerca comparativa, denominato Interceptor, finanziato di recente da Aifa e Ministero della Salute. Nel trial il nostro e altri test verranno messi a confronto per valutare la loro accuratezza, i costi e la facilità di esecuzione all’interno di un modello organizzativo su scala nazionale».
Elena Correggia