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Vescovo Guido: «Soltanto la relazione con Dio rende possibile la vita cristiana»

Eccellenza, chi era Madre Clelia?
«Madre Clelia era una donna che ha fondato una congregazione e ha formato delle suore che avessero uno stile come quello degli Apostoli. Con profondità e con forza, quindi. Madre Clelia aveva una profonda spiritualità e un legame con Dio veramente forte, che ha interiorizzato veramente. Lo si è visto quando ha passato i momenti brutti della sua vita. Ha fondato la congregazione a Viareggio e dopo pochi anni è venuta ad Alessandria, in via Savonarola, dove ha scritto le “Regole”, dove ha formato le suore, dove ha vissuto la maggior parte della vita: qui infatti abbiamo la Casa Madre della congregazione. La Madre ha vissuto una dimensione di rapporto con Dio forte, perché a un certo punto le suore l’hanno estromessa. L’hanno condannata in vita a una specie di “damnatio memoriae”, emarginandola, fino alla morte, dal governo e dalla vita della congregazione da lei fondata. Ha vissuto l’essere moralmente uccisa: pur avendo dedicato tutte le sue energie alla comunità, si è trovata estromessa e tutto quello che ha fatto si è rivoltato contro di lei. Una situazione particolarmente amara, che tuttavia lei ha vissuto con un grande amore, pazienza, docilità, dolcezza e perseveranza nel bene e nel perdono. È lì che noi vediamo veramente che c’è un’interiorizzazione del Vangelo profonda. Non è soltanto una serie di attività attaccate lì, per mezzo di un nostro agire con la nostra forza di volontà. Ma è un’interiorizzazione di una situazione nella quale lei vive alla luce di Cristo delle difficoltà che sarebbero state per chiunque esasperanti, inaccettabili».

Perché tanto ostracismo?
«Ad Alessandria noi abbiamo anche la storia di Carolina Beltrami, la fondatrice delle suore Immacolatine, che ha avuto una sorte analoga. Così come San Francesco d’Assisi, per fare un esempio fuori dai nostri confini. Il problema è la relazione tra un rapporto esistenziale, quello con Dio, e l’agire. Questo è sempre molto difficile perché noi abbiamo l’istinto di essere sempre sbilanciati sull’agire. Quando l’agire non è supportato da una relazione forte, la vita cristiana diventa insostenibile e quelli che la propongono li vediamo come i peggiori aguzzini. È per questo che succedono queste cose. Quando non c’è una sintonia nella relazione profonda con Dio, la vita cristiana diventa impossibile. Anche perché la vita consacrata, con la sua obbedienza, castità e povertà è una sfida umana assurda. Chiudere delle donne in un ambiente chiuso, come un monastero di clausura, dal punto di vista sociologico è la coltura di ogni genere di deviazione. Eppure io le donne più straordinarie le ho incontrate in clausura. E non riesci a spiegarti come in quei luoghi trovi delle persone così felici, profonde e gioiose. È la relazione con Dio che rende possibile una certa vita, che umanamente sarebbe impossibile. Quindi è ovvio che in queste condizioni estreme, nel momento in cui tu molli questo legame che dev’essere fortissimo con il Signore, allora viene fuori tutta l’umanità, con tutte le sue miserie».

Lei è andato a Roma per la beatificazione di Madre Merloni. Che cosa l’ha colpita di più?
«Intanto vedere così tanta partecipazione, in una San Giovanni in Laterano stracolma di gente da tutto il mondo per la beatificazione. Fa effetto, soprattutto quando hai la consapevolezza che tu sei il vescovo della Casa Madre, e tu stesso ne hai sentito parlare molto poco. Sembra che questa “damnatio memoriae” ad Alessandria sia rimasta. Io ne avevo sentito parlare dal cardinal Canestri, l’arcivescovo che mi ha ordinato prete. Lui ci aveva portato una settimana a Rocca di Papa in casa delle suore di questa congregazione e abbiamo appreso la storia di Madre Clelia. Bisogna fare qualcosa per invertire la rotta… A volte succede così, capita che non sappiamo valorizzare i doni di santità che abbiamo sul territorio. Ricordo, a Genova, Santa Caterina da Genova, una Santa straordinaria che non aveva fondato nessuna congregazione. Mentre in città era un po’ dimenticata, da tutto il mondo arrivavano richieste nelle due parrocchie dedicate a lei. È paradossale».

Come possiamo sensibilizzare di più la diocesi?
«Bisogna studiare qualcosa insieme con le suore, e cercare di riscoprire questa figura per celebrarla insieme. Con lo spettacolo è stato fatto un passo avanti; credo che occorra fare della celebrazione di sabato un momento fisso da inserire nel cammino della nostra Chiesa. Per fa sì che le suore riescano a far conoscere la vita di questa loro fondatrice».

Alessandro Venticinque

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