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Vescovo Guido: «Perché di fronte alla morte siamo in imbarazzo?»

Eccellenza, lei cosa direbbe ai genitori che hanno perso i loro figli in quella discoteca di Corinaldo?
«Non vorrei unirmi alle tante parole già scritte e pronunciate in questa circostanza. Vorrei invece provare a dare una lettura di senso, al di là delle ragioni e delle motivazioni per cui è successa una tragedia di questo genere che, se ci pensiamo bene, è molto simile a un attentato. La gente va in un posto per divertirsi, succede una sciocchezza e muore. Questo è terribile per un essere umano. È terribile perché mina l’anima, mina i cuori, mina le certezze. E colpisce una visione del mondo, quella basata su una vita tranquilla, serena e spensierata, a cui tutti aspiriamo. Perché è naturale aspirare a una vita tranquilla, serena e spensierata… è un’aspirazione insita nell’uomo, ci mancherebbe anche che non ce l’avessimo. Ma qualcosa la colpisce, spogliandola. A questa aspirazione vengono strappati i vestiti, si ritrova nuda, impotente e incapace di giustificare il proprio esserci da sola. Ci si rende conto che la vita non è fatta solo di una conduzione tranquilla, ma anche di drammi che escono fuori dai canoni della serenità e della spensieratezza. Così ci troviamo improvvisamente impotenti e nudi di fronte alle cose, e fatichiamo a trovare un senso per tutto questo».

In questi casi la pietà per le vittime sembra più un atto dovuto di cui disfarsi quasi subito…
«È proprio così. Questa situazione mette a nudo una cosa che non vorremmo mai vedere, perché è la negazione della nostra aspirazione, ci imbarazza. Ma il punto è che la vita non è tutta qui. E dunque? Si possono dare molte risposte, alcune anche molto profonde. Catechisticamente, la risposta è che noi abbiamo questi problemi a causa del peccato originale. Ma è un ragionamento che non consola il cuore. Io vedrei la risposta in positivo, e questa risposta è quello che io sento in preparazione a questo Natale: Cristo, Luce del Mondo».

Ci può spiegare meglio?
«Gesù viene a portare luce nell’oscurità della vita dell’uomo, un essere che non sa esattamente da dove viene, né dove va. La nostra provenienza è oscura, non
siamo semplicemente un dato di fatto generato nel grembo di nostra madre. Siamo molto di più, sentiamo che c’è un “prima”, e che la morte non è semplicemente andare al cimitero e scomparire nella tenebra. Cristo, Luce del Mondo, è venuto davvero a illuminare gli uomini, perché rischiara queste due tenebre che rendono oscura la vita: la tenebra prima di te, e la tenebra dopo di te. La tenebra prima di te, perché Gesù ti dice: “Da sempre ti ho pensato e da sempre ti ho conosciuto”. Quindi sei oggetto di un desiderio e di una volontà, ancor prima di esserci. E questa è già una bellezza grandissima che ti fa capire che hai un senso. Ti manca la conoscenza esatta di questo senso, ma sai che ce l’hai. E ti dà una prospettiva di vita eterna, di amore, di benedizione e di benessere senza fine. Gesù è venuto a rischiarare queste due grandi tenebre che soffocano la nostra vita, dunque. Ma quando io non ho questi riferimenti, la mia esistenza piomba nel buio, perché in ogni cosa continuo comunque ad avere un “rimando” a un senso che però mi manca. E allora di fronte alla morte, a questa tenebra che abbiamo davanti, ecco sopraggiungere l’imbarazzo. L’imbarazzo c’è perché non si sa cosa dire. Veramente fatichiamo ad avere un contesto di significato nel quale la morte possa essere accettabile, o addirittura desiderata. Come per San Francesco, che la chiama “Sora nostra morte corporale”. O come per Santa Teresa di Gesù, che le si rivolge dicendo: “Morte orsù dunque affrettati! Scocca il tuo dardo d’oro! Mòro perché non mòro”. Con uno slancio che fa intendere che la morte è solo un passaggio, una porta su un “poi” che è ben più bello della vita che si sta facendo adesso, nella quale si vive comunque già un amore. Eppure questo amore troverà una completezza ben più grande nell’aldilà».

Ma dire, o dirsi, queste cose è sufficiente?
«No, non basta. Se queste cose le dico a una persona che non le sperimenta, lei può sforzarsi di andare dietro al ragionamento, ma non è sufficiente. Quante volte ho sentito dire che “in fondo, chi crede vive meglio” con il significato di: “Mi metto a credere perché così vivo meglio”. Ma la fede vissuta in questo modo non può ingannare il tuo subconscio, che in realtà si muove in un’altra direzione. Questa visione è trasmissibile solo per la forza di un incontro personale con il Signore Gesù. E talvolta gli altri, incontrando noi e il mistero che siamo, intuiscono che dietro c’è qualcosa che non è umano. C’è un incontro vero. Non c’è un’auto-convinzione o un’auto-suggestione psicologica, ma c’è l’incontro con una persona che da un punto di vista è come noi, e dall’altro è totalmente diversa. E questo è il mistero del Natale. Il Natale è il mistero del Signore che viene a portare la luce nel momento della tenebra. Gesù viene a portare la luce e viene a dare la gioia di una vita diversa. Viene come un uomo qualsiasi, persino povero, ma nello stesso tempo porta un mistero immenso. Così dovrebbe essere il cristiano. Quando ascolto persone che faticano a trovare un senso al lutto, sono molto dispiaciuto del fatto che evidentemente noi cristiani non riusciamo a dare la sensazione di una gioia incontenibile ed esondante».

Andrea Antonuccio

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