Eccellenza, il Giorno della Memoria fa emergere il tema del male nella storia: come è possibile che in alcuni momenti (la Shoah, per esempio) Dio abbia potuto far accadere certe cose?
«Preferirei riformulare la domanda: come è possibile che l’uomo abbia potuto far accadere certe cose? Perché di questo in definitiva si tratta e non vorrei che ci deresponsabilizzassimo rispetto a cose che cadono abbondantemente dentro i nostri margini di intervento. L’incolpare in qualche misura, anche indiretta, Dio significa sempre alleggerire in qualche modo la posizione di noi uomini. L’olocausto ci richiama al fatto che di fronte a certi mali non possiamo tenere una posizione di dissenso interiore alla quale non seguono scelte concrete ed esterne volte a impedire attraverso la pressione sociale il realizzarsi di atti abominevoli contro gli esseri umani. È il doloroso tema della omissione di cui Gesù parla nel cap. 25 del Vangelo secondo Matteo, in cui non solo i buoni sono premiati ma i cattivi sono castigati a causa non di atti cattivi ma di omissioni di atti buoni».
Non fare il bene è quindi male?
«All’inizio della nostra principale liturgia, la Messa, il fedele è chiamato a porsi nella verità di se stesso di fronte a Dio e in questo chiede perdono per aver peccato in pensieri, parole, opere e omissioni. Si intuisce chiaramente che questi peccati, perlomeno per i primi tre, sono posti in una scala ascendente di gravità. I peccati di pensiero sono meno gravi dei peccati di parole, che sono a loro volta meno gravi dei peccati di opere. La questione è che le omissioni di cose buone possono essere addirittura più gravi di opere cattive, perché il vero ostacolo all’avanzamento del regno di Dio non è il male che possiamo trovare nel mondo: Gesù Cristo ci ha insegnato a combatterlo con il bene. Il vero ostacolo dunque è omettere di fare il bene, ovvero di costruire il regno di Dio».
Ma alla luce anche di questo ritiene che la Memoria sia sufficiente per far sì che certe storie non si ripetano?
«No! Non è sufficiente, ma è necessaria. Fare memoria di errori atroci della storia dell’uomo non evita il ricadere in essi o in altri similari, se non è accompagnato dall’individuazione di alcuni capisaldi, cioè valori, ineludibili nella vita del consorzio umano. Ricordo che visitando il campo di concentramento di Mauthausen trovai scritto un biglietto in italiano su un forno crematorio con queste parole: “Saremo migliori”. Mi suonarono un po’ sinistre… mia madre infatti, fin da bambino, quando mi faceva recitare le preghiere della sera mi accompagnava anche in un po’ di esame di coscienza al quale doveva seguire un proposito che io solitamente cercavo di sbrigare con un generico: “Sarò più buono”. Mia mamma mi diceva spesso che un proposito di quel genere facilmente mi avrebbe condotto a ricommettere gli stessi errori. In questo senso, quel generico biglietto, mi suonò sinistro perché era un po’ come dire: “Abbiamo le idee così poco chiare che potrebbe finire che saremo migliori nel torturare, anziché nel fare il bene”».
Si tratta dunque di essere migliori? Non saremo, ma siamo… o altro ancora?
«Ancora qualcosa: si tratta di dettagliare più chiaramente cosa voglia dire essere migliori. Essere migliori è qualcosa di fastidioso, talvolta mi toglie alcune libertà, mi chiede un sacrificio, mi chiede di investire tempo ed energie, mi impedisce di pensare solo a me stesso».
A cura di Carlotta Testa