Carlotta, che clima hai trovato a Panama?
«A Panama abbiamo trovato un clima latino. Accogliente, vivace, solare. C’era un’aria di festa, di amicizia, di gioia e di casa pur essendo molto lontani dalla nostra. Si è respirata molto anche l’attesa del Papa, un momento significativo per noi ma soprattutto per i panamensi che da tempo si sono preparati all’evento».
Come hai vissuto il tuo ruolo di responsabile?
«Questa è la seconda Giornata mondiale della Gioventù che vivo come responsabile. A Cracovia nel 2016 i numeri erano molto diversi: i partecipanti della diocesi erano oltre 100 a fronte dei 27 di quest’anno. In ogni caso l’organizzazione della Gmg non è mai qualcosa di semplice: gli aspetti logistici e preparatori sono davvero numerosi e il rischio è quello di perdersi dietro alle questioni tecniche. Panama è stata l’occasione per vivere più profondamente le relazioni con i giovani partecipanti. Come responsabile e come persona vivo il compito di accompagnatrice e organizzatrice con una certa apprensione, ma a Panama tutto si è svolto con grande semplicità ed è andato per il meglio. Quando le cose procedono bene si ha il cuore più libero per mettersi in relazione e in ascolto dei giovani. E per me è stato così».
Il Papa ha detto ai giovani che sono “l’adesso di Dio”. Hai riscontrato questa cosa in terra panamense?
«Sì, decisamente. Mi ha colpito molto il coinvolgimento dei più giovani come volontari ma anche nelle famiglie di accoglienza. Nessuno si è astenuto dal vivere questa esperienza dando il proprio contributo… credo che il presente di Dio sia anche questo: lo sforzo dei giovani di stare al passo di Dio e della Chiesa, più che della società mondana. Anche i nostri partecipanti hanno compiuto questo sforzo: scegliere di partecipare a una Gmg sembra scontato ma non lo è. Richiede di prendersi un impegno, di prepararsi e di scegliere oggi, in mezzo a tante altre proposte, un evento di Chiesa mondiale».
Come è possibile portare nella quotidianità quello che si è vissuto durante la Gmg?
«Credo che la Gmg porti con sé la ricchezza dell’incontro: l’incontro con amici di culture distanti, eppure fratelli nella stessa fede. L’incontro con sacerdoti impegnati e coinvolti nell’accompagnamento dei giovani dalla A alla Z. L’incontro con i vescovi della Chiesa, catechisti vicini e non figure autorevoli distanti. L’incontro con la fede del “vicino” che può scuotere anche la propria. L’incontro con le parole forti e stimolanti del Pontefice. Nei casi più rari, ma non impossibili, l’incontro con Dio che parla al proprio cuore in mezzo a milioni di giovani. Se in qualche modo si sperimentano questi “incontri” si fa esperienza di una Chiesa davvero possibile, autentica e coinvolgente che si desidera cercare e costruire nella quotidianità di tutti i giorni».
Dopo un’esperienza di questo tipo si torna cambiati?
«Se è vero che si fa un incontro, difficilmente se ne esce uguali. Qualcosa inevitabilmente lo portiamo dietro come frutto. Si torna così apparentemente uguali ma con la sensazione e il sapore di qualcosa di nuovo e, perché no, di rinnovato».
Hai notato dei cambiamenti nel gruppo dopo questo viaggio?
«Dovrei raccontare alcune storie dei nostri giovani e probabilmente non sarebbero troppo contenti! Posso però dire che ho notato la voglia di “non essere a Panama senza esserci”. Sono stati dentro l’esperienza al 100% nonostante le fatiche e le stanchezze. Tanti di loro ne hanno fatto occasione per pensare alla propria vita, per domandarsi dei propri sentimenti, del proprio sentire, della propria fede, delle proprie scelte. Non posso dire se qualcosa sia sensibilmente cambiato, ma posso dire che è stato un tempo di profondità. Il che non è scontato per queste generazioni».
Cos’è cambiato per te?
«Anche per me nulla è apparentemente cambiato. In questi giorni in molti mi hanno chiesto un’impressione a caldo, che ho sintetizzato nell’abbronzatura evidente che abbiamo portato in Italia nei nostri volti. Anche io sono tornata piuttosto colorita e questo non è merito solo dell’estate panamense, ma della Luce di cui si fa esperienza e di cui si torna colmi. Ne ho presa molta, il più delle volte è stato il riflesso dei luminosi incontri fatti. Le esperienze luminose lasciano sempre un segno e ti fanno venire voglia di cercare un luogo luminoso in cui vivere. A dispetto del grigiore alessandrino, io trovo che servire la mia Chiesa mi restituisca questo e forse era proprio di un bagno di luce “fuori stagione” ciò di cui avevo bisogno. In alcuni periodi più faticosi e intensi, abbronzarsi così non può che fare bene».
Alessandro Venticinque