Eccellenza, ci racconta la “sua” Giornata mondiale della Gioventù?
«La mia Gmg è stata un’esperienza bellissima iniziata con un lungo volo, che seguiva un periodo estremamente denso di scadenze e attività. Trasvolando l’Atlantico, prendevo via via coscienza che stavo andando a Panama per la Gmg, e questo mi dava una grande gioia. Poi, quando siamo arrivati, abbiamo trovato un Paese magnifico, una città che in dieci anni ha avuto un’evoluzione impressionante. Siamo stati accolti benissimo dalle famiglie: i nostri ragazzi erano contenti, si sentivano a casa. E poi abbiamo cominciato con le catechesi…».
Ce le racconta, queste catechesi?
«Sono stati momenti apprezzati, sia dai vescovi sia dai giovani. Già nell’ultima Gmg avevamo preso questo indirizzo, che ora si è completato: gruppi più piccoli, e vescovi che fanno i catechisti. Ogni vescovo aveva un gruppetto di una cinquantina di ragazzi: quelli di Alessandria hanno fatto catechesi con il vescovo di Isernia-Venafro, monsignor Camillo Cibotti. Io invece avevo un gruppo di giovani provenienti da diverse diocesi».
Lei che cosa ha imparato dalle catechesi?
«Innanzitutto erano molto “interattive”, con molte domande dei giovani a cui il vescovo, dopo una breve introduzione, doveva rispondere».
La domanda che l’ha messa più in difficoltà?
«Un ragazzo mi ha chiesto: “La storia consegna un mondo impaurito: chi gioca con le nostre paure, e come possiamo superarle?”».
Però… e lei che cosa ha risposto?
«Che la fede è il contrario della paura, e Gesù è venuto proprio a salvarci dalle paure. Quindi le superiamo soltanto quando facciamo un vero cammino di fede».
Altre questioni “toste”?
«Il secondo giorno, con i giovani è emerso prepotentemente il tema della Parola di Dio: i dubbi su di essa, gli approfondimenti, la formazione degli educatori, la comprensione e il silenzio per meditarla».
Domande sull’affettività?
«Mi è stato chiesto qual è il ruolo della famiglia nella nuova evangelizzazione. Ho risposto che è un ruolo centrale, e che la nuova evangelizzazione parte da una vita di famiglia convinta. E anche il Papa nel recente documento congiunto con l’Imam è partito proprio dalla famiglia e dal suo valore».
E papa Francesco? Che impatto ha avuto sui ragazzi e sul vescovo?
«Il Papa è straordinario, e spiego subito perché. Punto primo: i giovani sono venuti a Panama per stare non con Francesco, ma con il Papa. Senza seguire schieramenti o schemi ideologici, così facili da trovare tra gli adulti, che leggono i pontificati come sequenze di schieramenti ecclesial-politici. I giovani hanno una visione più chiara e più profonda del Mistero della Chiesa nella persona del Sommo Pontefice. Seconda cosa: papa Francesco è stato veramente strepitoso, con il suo stile molto chiaro, semplice e incisivo, così profondo. Io mi sono portato a casa una frase che mi è rimasta “scolpita” nel cuore: “Solo lo que se ama puede ser salvado”. Cioè: “Solo ciò che si ama può essere salvato”».
Che cosa significa?
«È una provocazione terrificante, perché le persone che noi vorremmo fossero salvate spesso sono quelle con le quali viviamo una fatica, e l’istinto di fronte alle fatiche solitamente ci fa ritrarre e prendere le distanze. Invece il Papa ci ricorda che la salvezza arriva solo là dove noi mettiamo l’amore. In fondo è questo il segreto della nuova evangelizzazione: un amore concretamente donato».
Un’esperienza positiva, dunque, per lei e per i ragazzi che hanno partecipato.
«I nostri giovani mi hanno particolarmente colpito. Li ho trovati maturi, interessati, non superficiali. Il nostro “vescovo catechista” è rimasto molto colpito dalla loro profondità. Questo è un segno molto bello, è il segno che con i giovani si sta facendo una pastorale vera. Sono grato a chi se ne sta occupando sul campo: i parroci, gli educatori e i responsabili del servizio diocesano di Pastorale giovanile e vocazionale».
Andrea Antonuccio