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Triduo Pasquale al cuore della fede

GIOVEDÌ

GIOVEDÌ

 

Con la messa vespertina del Giovedì santo, nella memoria annuale dell’ultima cena del Signore, la comunità cristiana comincia a celebrare il nucleo centrale della sua fede: la passione, la morte e la risurrezione di Cristo. La prima importante caratteristica di questa messa è che, salvo rari casi di vera necessità e soltanto con uno speciale permesso del vescovo, essa è unica: una sola messa per tutta la comunità locale. Prima della celebrazione il tabernacolo deve essere vuoto. Le ostie per la comunione dei fedeli vengono consacrate nella stessa celebrazione della messa. Il rito del Giovedì santo ci comunica ciò che Gesù volle veramente istituire per noi in quell’ultima cena quando «spezzò il pane, lo diede ai suoi discepoli e disse: “Prendetene e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”». Si tratta di mangiare e bere quel vino per diventare una sola cosa con Cristo; per diventare anche noi corpo donato e sangue versato per amore di Dio e dei fratelli. Il colore dei paramenti è quello pasquale, cioè il bianco, e si canta solennemente anche il Gloria. Questa messa non prevede la recita del Credo. La conclusione della celebrazione è invece del tutto insolita. Dopo l’ultima orazione, l’Eucarestia viene portata con solenne processione al luogo della reposizione, generalmente una cappella convenientemente ornata. Qui il sacerdote incensa l’eucarestia mentre si cantano le due ultime strofe dell’antico canto composta da San Tommaso d’Aquino per l la liturgia del Corpus Domini: Tantum ergo sacramentum, o un altro canto eucaristico adatto. Dopo la messa l’altare viene totalmente spogliato di ogni arredo. Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che al di fuori del Vangelo ci opprime. Prendendo su di sé le nostre infermità, e scegliendo un’esistenza che è Croce e Martirio, Egli ci ha svelato il valore del dolore e della morte, facendo diventare la sofferenza fonte positiva di bene.

VENERDÌ

VENERDÌ

Nella tradizione popolare questo giorno assume una dimensione di profonda tristezza, di lutto, ma la liturgia del Venerdì santo, pur nell’austerità, esprime una serena e maestosa solennità. L’ora della morte di Gesù è celebrata dalla Chiesa come l’ora del trionfo. Oggi, per antichissima tradizione, la Chiesa non celebra l’Eucarestia. Il rito solenne e austero della passione, in un’ora pastoralmente più adatta fra le 15 e le 21, si svolge in tre momenti distinti: la liturgia della Parola, l’adorazione della croce e la comunione eucaristica. Oggi non si celebra l’Eucaristia, ma dopo la liturgia della Parola c’è l’ostensione e l’adorazione della croce. «Il Venerdì della passione del Signore è il giorno di penitenza obbligatoria in tutta la Chiesa, da osservarsi con l’astinenza e il digiuno» (FP 60). Non si tratta di una semplice mortificazione: il digiuno del Venerdì santo è un gesto rituale, liturgico, è un segno della Chiesa per il mondo. La Via Crucis non è, per la tradizione della Chiesa, la celebrazione qualificante del Venerdì santo. Tuttavia, per il suo carattere popolare, essa assume una notevole importanza al fine di raccogliere attorno alla croce del Signore il maggior numero possibile di persone.

SABATO

SABATO

Con la riforma del 1951, che ha riportato la Veglia pasquale dopo il tramonto, il Sabato santo è ritornato a essere, come alle origini, un giorno aliturgico, cioè senza Eucarestia. I cristiani vengono esortati a vivere questa giornata in un atteggiamento orante di interiore preparazione, meditando il grande mistero della croce che ci tocca tutti da vicino. La risurrezione di Cristo è il cuore e la speranza di tutto il messaggio cristiano. Per questo la celebrazione della Pasqua è la massima celebrazione del culto cristiano. Essa è, quindi, celebrazione domenicale e non del Sabato santo. All’inizio di questa celebrazione la chiesa, per quanto possibile, deve essere immersa nel buio completo affinché i simboli del fuoco e del cero non siano resi vani o comunque banalizzati. Il cero viene quindi solennemente acceso con queste significative parole: «La luce del Cristo che risorge glorioso disperda le tenebre del cuore e dello spirito». Fatta la solenne accensione il diacono, o in sua assenza, lo stesso sacerdote, prende il cero pasquale e, tendolo elevato, canta: «Lumen Christi», «oppure Cristo luce del mondo». Si forma quindi una processione che entra nella chiesa avvolta nel buio. Il cero è diventato per i cristiani il segno rituale e visibile di colui che ha dissipato le tenebre della morte e ha inondato di luce la nostra esistenza terrena. Sono questi i sentimenti che hanno fatto vita al solenne annuncio pasquale: l’Exsultet o preconio pasquale. Tutta la Veglia pasquale è strutturata in funzione del Battesimo. Se non si tiene presente questo aspetto, si rischia di non comprendere più la Veglia pasquale.

DOMENICA

DOMENICA

La Domenica di Pasqua è il frutto della Veglia, della risurrezione. Essa è pertanto alla radice di tutte le domeniche. La celebrazione dell’Eucarestia in questo giorno esige di essere solenne, ma non è diversa nella struttura da tutte le altre messe domenicali. Perché le sette domenica che vanno dal giorno di Pasqua alla Pentecoste vengono chiamate tutte Domeniche di Pasqua? La Pasqua di Cristo trova compimento nella discesa dello Spirito Santo, che nel giorno della Pentecoste costituisce la Chiesa come nuovo popolo di Dio e sancisce con il fuoco la nuova ed eterna alleanza. Non senza motivo il tempo pasquale è costituito da una “settimana di settimane” e si conclude con un giorno, il cinquantesimo, che supera l’esatto risultato del 7×7 e che diventa pertanto simbolo di quell’ottavo giorno che è la domenica, segno e caparra della Pasqua eterna. All’interno dei cinquanta giorni del tempo pasquale si distingue la prima delle sette settimane, chiamata anche ottava di Pasqua.

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