«Questo è un primo passo sul tema degli abusi nella nostra Chiesa»
La Diocesi di Alessandria è in cammino sul tema della tutela dei minori. Giovedì 29 maggio si è tenuto al Collegio Santa Chiara un incontro aperto a tutti con la dottoressa Rosella Mercuri, psicologa e collaboratrice del Consultorio per la persona e la famiglia, che ha anche l’incarico di occuparsi della formazione e della supervisione dei componenti del centro di ascolto per la tutela dei minori. Le abbiamo chiesto di presentare i prossimi passi di questo cammino, non facile per la Chiesa, che la nostra Diocesi ha deciso di affrontare seriamente.
Dottoressa Mercuri, si presenti ai lettori di Voce.
«Sono psicologa, abilitata dal 2001, ma già prima della laurea avevo cominciato a collaborare con il consultorio Ucipem, il consultorio per la persona e la famiglia. Mi occupo anche di formazione, in tanti ambiti: ho partecipato alla vita di diverse associazioni alessandrine e mi è capitato di collaborare con parrocchie e parroci, per centri estivi e percorsi di educazione all’affettività. Ho cominciato come volontaria nel 1997, per cui ho qualche anno di esperienza (sorride)».
A un certo punto si è imbattuta nella tutela dei minori.
«Sì, e dal 2004 ho cominciato a fare anche Consulenze tecniche di parte, ossia le Ctp, nelle perizie del tribunale. Capitava, e capita, di vedere dei casi in cui i diritti dei minori a una vita serena, protetta e tutelata erano sempre più a rischio, fino a essere addirittura negati».
Oggi è stata chiamata a guidare la formazione del centro di ascolto per la tutela dei minori nella Diocesi di Alessandria. Ci spiega di più?
«Questo percorso nuovo è una grandissima scommessa, secondo me. Sappiamo della sensibilità della Chiesa su questi temi: anche se molto faticosamente, con molte lentezze, si è mossa verso una tutela esplicita dei minori. Papa Francesco ha dato una svolta importante, adesso vedremo le direttive di papa Leone. Il nostro Vescovo ha accettato questa grande sfida, per cui partirà la costituzione di un servizio con dei responsabili per la tutela dei minori, e il mio sarà un supporto sulla formazione, solo per avvicinare le persone all’argomento. Perché io non mi occupo di diritto, ma di ascolto, accoglienza e modalità di relazione».
Prologo alla formazione è stato l’incontro di giovedì 29 maggio.
«È stato un primo appuntamento: c’è stata una buonissima partecipazione da parte di persone attive in parrocchia o nella Diocesi, insegnanti di religione. Il mio primo “assaggio” di questo argomento, delicatissimo, è stato quello di sottolineare quanto spesso noi come persone, ma anche come professionisti, non troviamo le parole per dire le cose spiacevoli. E la nostra società mette in evidenza il brutto, il mostro, il cattivo in maniera perentoria e a volte diffamatoria, ma molto spesso manca quella sensibilità di pensiero, anche linguistica, per orientarsi attraverso comportamenti più o meno scivolosi».
Al termine dell’incontro che cosa è emerso?
«È stato ipotizzato un avvio di cammino di riflessione, ed è stato dato un documento che sarà uno strumento di lavoro per tutti gli operatori impegnati nei centri estivi e negli oratori. Sono alcune indicazioni pratiche, che derivano dalle “buone prassi” per la vita parrocchiale, dove ci sono indicazioni positive di comportamento, atteggiamenti e azioni da evitare, precauzioni per l’uso dei social. Ognuno, poi, a centri estivi conclusi porterà la propria esperienza. L’idea è di tenere un laboratorio aperto dove raccogliere stimoli, dubbi, confrontarci e lavorare insieme sulle famose buone prassi, costruendo insieme un linguaggio e uno sguardo condiviso».
In parallelo, da venerdì 13 giugno, è iniziata la formazione per i membri del centro di ascolto. Di che si tratta?
«Sono tre appuntamenti, da metà giugno in avanti, rivolti alle persone che sono a oggi nominate dalla Curia come responsabili per la tutela dei minori. Credo sia un gruppo in divenire, con la possibilità di aprirsi e allargarsi ancora di più. A settembre, invece, ci sarà un appuntamento aperto a tutti, in cui metteremo insieme esperienze e situazioni accadute nelle attività estive. Lo scopo è abituarci ad avere una “malizia” che protegge, per il bene di tutti. È la speranza che ci deve muovere, in questo progetto che è veramente pionieristico».
La Chiesa italiana sta facendo abbastanza sul tema degli abusi?
«Sì. Questo è un primo timidissimo passo. Timidissimo, e molto cauto. Non sono minimamente nel ruolo di giudicare, ma diverse volte, come professionista dell’ascolto, in studio sono venuta a conoscenza di storie, anche abbastanza vicino a noi. Vicende in cui alcuni innocenti sono stati toccati e macchiati da comportamenti scorretti, gravemente scorretti, in varia misura. Quindi sicuramente di ferite ne abbiamo, e anche vicine, per cui occorre vigilare su quello che facciamo noi e su quello che fanno gli altri. E non vuol dire fare la spia, ma vuol dire non essere omertosi».
Su questo tema ci si divide: c’è chi chiede un basso profilo e chi va a caccia di mostri.
«La psicologia ci dice che chi agisce in comportamenti di mancata tutela o addirittura di abuso e maltrattamento nei confronti dei minori, spesso, è stato vittima a sua volta. Questo è il ciclo della violenza. Ci sono delle aree del cervello che rimangono traumatizzate, si modificano per il trauma e quel trauma agisce nel tempo. Quindi empatizzare con la vittima, che a sua volta non ha trovato un altro modo per esprimere la sua ferita, è necessario: non possiamo mettere in pratica la legge del taglione, né dal punto di vista giudiziario né dal punto di vista umano. Noi siamo la religione del perdono. Serve un cambio prospettico, serve un cambio culturale. Tutti siamo responsabili dei bambini e dei ragazzi. Noi siamo davvero il villaggio, i figli sono di tutti. Se io vedo qualcosa che non va bene, ne parlo, intervengo».
Ma se dentro una comunità non succede questo, si è tutti un po’ complici?
«Sì. E forse è peggio la complicità dell’abuso, in un certo senso. Il fatto di non essere riconosciuti come vittima e quindi nessuno si attiva, nessuno si muove, è molto grave. Uno dei danni alle persone vittime di violenza è non essere creduti, ma addirittura diventare loro il problema perché guastano il clima».
Come si fa a stare accanto a chi ha subito un abuso?
«Innanzitutto una persona, anche se abusata, è sempre una persona. E io le sto accanto, pur sapendo del suo dolore, continuando a guardarla come una persona, senza soffermarmi solo su ciò che si è “rotto”».
Che cosa si sente di dire invece a chi ha subito un abuso e ha ancora paura di parlarne?
«La prima cosa: è attiva una email, gestita dal centro di ascolto diocesano (tutelaminori@diocesialessandria.it). È riservata e confidenziale, viene letta e aperta solo dai responsabili di questo servizio. Qui si può fare una segnalazione garbata, nella massima riservatezza, si può prendere un appuntamento, si può fare una chiacchierata al telefono o di persona. È un progetto nuovo che parte per creare apertura, ascolto, condivisione: perché non siamo soli, ma una comunità in cammino. E nessuno si salva da solo. Chi ha subìto un abuso deve compiere due gesti del cuore: fiducia e coraggio. Affinché quello che è capitato a loro non capiti più a nessun altro».